Dal G7 alla Svizzera: quali prospettive di pace tra Russia e Ucraina
Fonte immagine: Wikimedia Commons

È il Febbraio 2022, e dopo aver ammassato più di 100mila uomini al confine con l’Ucraina, la Russia di Vladimir Putin decide di passare dalle parole ai fatti, dando il via a quella che verrà ribattezzata dal Cremlino come “operazione militare speciale” tendente, sempre secondo lo stato maggiore russo, a tutelare la minoranza russofila del Donbass. Due anni dopo, la guerra infuria ancora, tra migliaia di vittime, macerie e un Paese completamente distrutto, in attesa ancora di quell’evento decisivo in grado di mettere la parola fine alla carneficina in corso, riportando la pace in Europa.

La diplomazia, nel corso di questi due anni, ha provato, anche se in molti casi timidamente, a cercare una tanto agognata mediazione tra le istanze del Presidente Putin e del suo omologo ucraino Zelenskyy, senza riuscire mai a superare la fase preliminare del confronto. Summit, incontri, tavole rotonde e telefonate notturne non sono bastate a scalfire la strenua resistenza dei contendenti a far tacere le armi e ad intavolare una trattativa. Le sanzioni europee, infine, seppur abbiano sortito un loro effetto – soprattutto quelle petrolifere – sull’economia russa non hanno, come inizialmente si credeva, assestato un colpo decisivo a Mosca.

Siamo arrivato a Giugno 2024, due anni dopo lo scoppio delle ostilità, e una conferenza di pace in Svizzera e una proposta di pace arrivata direttamente dal Cremlino potrebbero cambiare le carte in tavola. Forse. Siamo ancora lontani da un consenso unanime, questo sia chiaro, ma alcuni analisti cominciano a sostenere che giunti a questo punto, Ucraina e Russia siano “obbligate” a trattare per porre fine al conflitto.

Ucraina-Russia: sarà pace?

Il 15 e il 16 giugno, nella piccola cittadina di Burgenstock, in Svizzera, le potenze occidentali e i loro alleati si sono riuniti per discutere circa le prospettive future del conflitto ucraino. Circa 77 Paesi hanno firmato una dichiarazione di vertice in cui è stata riaffermata la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, un obiettivo considerato chiave dalla delegazione di Kiev presente all’incontro. Tuttavia, al di là delle buone intenzioni, la conferenza ha ottenuto pochissimi riscontri sostanziali in quanto, se da un lato ha rafforzato il “cerchio magico” occidentale dell’Ucraina, dall’altro ha ulteriormente alienato il Sud globale, il quale in larga parte ha preferito non prendere parte all’evento (erano presenti solamente 93 delegazioni su 160 inviti).

In Svizzera si è materializzata anche una “questione Cina“. Zelenskyy, per la prima volta, ha pubblicamente attaccato Pechino per il suo appoggio diplomatico alla Russia, finalizzato al sabotaggio del summit e alla produzione di “risultati concreti”. Tra gli altri, presenti anche Sudafrica e India, con il Brasile in qualità di osservatore. Tali Paesi, che assieme a Cina e Russia formano i BRICS, non hanno firmato la dichiarazione di vertice finale.

A giudicare dalle assenze, dall’esito finale e dal boicottaggio di Cina e Russia, si potrebbe affermare senza temere alcuna smentita che il vertice svizzero si è risolto nell’ennesimo nulla di fatto. In realtà, come accade spesso, per un’analisi di senso compiuto sarebbe utile e fondamentale tenere conto anche dei “particolari”, come ad esempio il ruolo e l’attivismo diplomatico dell’Arabia Saudita.

Il ministro degli Esteri della monarchia del Golfo ha dichiarato a Bloomberg che Kiev dovrà prepararsi a un difficile compromesso per terminare il conflitto. Tali affermazioni seguono un periodo in cui Riad sta tentando in tutti i modi di acquisire il ruolo di grande mediatore, puntando su neutralità diplomatica, affidabilità e buoni uffici con Occidente ed Oriente. Anche l’astenersi dal firmare la dichiarazione di vertice fa parte del gioco: un mediatore credibile non può sostenere l’integrità e la sovranità territoriale di un solo contendente. La sua posizione sul conflitto, poi, è abbastanza chiara e trasparente: senza la Russia, qualsiasi summit o tentativo di mediazione è destinato a fallire in partenza.

Fonti dello staff presidenziale ucraino confermano la percezione di un’Arabia Saudita alla ricerca di un ruolo da protagonista nel conflitto tra Russia e Ucraina. Il piano di pace di Kiev, passerà per la capacità della monarchia del Golfo di intrecciare rapporti diplomatici con la Cina e, conseguentemente, i buoni uffici di Pechino con Mosca. D’altronde, Xi Jinping considera Riad come un luogo “neutrale”, non compromesso con gli occidentali, mentre da tempo il Presidente ucraino guarda con interesse la crescita delle relazioni bilaterali con Riad.

Molto probabilmente l’attivismo saudita verrà premiato con la possibilità di ospitare il prossimo summit per la pace. E se la Cina vi parteciperà, lo farà anche la Russia. Pechino ha un peso specifico che Mosca non può permettersi di ignorare. Le trattative seguiranno con ogni probabilità il “modello del grano”, quello che ha condotto Kiev a poter esportare tonnellate di grano via mare senza temere attacchi da parte della flotta russa del Mar Nero.

Qualcosa si muove. Dalla consapevolezza che il conflitto non possa durare ancora a lungo all’impossibilità di escludere Putin dai tavoli negoziali, la diplomazia è lenta ma fa il suo corso. L’elemento emozionale, che fino ad ora ha guidato la guerra dei due Presidenti, dovrà necessariamente lasciare spazio al pragmatismo e a soluzioni concrete.

Le opinioni pubbliche occidentali, nonostante i ripetuti tentativi di Zelenskyy di mantenere alta l’attenzione su quanto accade nell’Est Europa, hanno da tempo cominciato a nutrire dubbi sul sostegno alla sua causa mentre il conflitto sembrerebbe assumere sempre di più le fattezze di una guerra di logoramento, la quale logora non soltanto Russia e Ucraina ma anche i loro sostenitori (armi, aiuti economici, stanchezza mediatica). A questo punto, dopo due anni di sanguinosi combattimenti, il fatto che ci sia una consapevolezza che le ostilità non possano durare in eterno – con i due contendenti che finalmente si “riconoscono” reciprocamente – è un risultato da non sottovalutare.

Da guerra lampo a lento logoramento

Piccole aperture ma diplomaticamente necessarie. Necessarie anche da un punto di vista prettamente militare. Il summit svizzero, l’attivismo saudita e le due proposte di pace presentate dai Presidenti possono rappresentare un’occasione, anche per gli stessi alleati occidentali, di porre fine al conflitto, garantire l’integrità e la sicurezza europea e assicurare la sopravvivenza dell’Ucraina.

Sul fronte delle armi, quella che fu presentata dalla Russia come un’operazione lampo si è trasformata in una tragica guerra di logoramento che nelle fasi iniziali ha sorriso alla tenacia e alle capacità degli ucraini e che ora, per tante ragioni, sta volgendo a favore di Mosca. Dai mezzi agli uomini, Kiev conta sul sostegno occidentale, che non può durare in eterno, ma la Nato e l’Unione Europea non potranno mai impegnarsi direttamente nel conflitto, fornendo ciò che all’Ucraina manca sempre di più: capitale umano, soldati, uomini.

Basti pensare che in due anni la popolazione russa non è diminuita mentre quella ucraina, anche a causa dei territori occupati (circa il 20%) e dalla massiccia migrazione, è passata da 44,1 milioni di uomini a 28. Anche la legge sul reclutamento di 800mila soldati ha sollevato numerose polemiche che non sorridono alla disciplina militare e alla possibilità di impiego di altri soldati sul fronte.

Un’interesse affinché il conflitto termini in tempi è anche priorità della Russia di Putin. A Mosca sono consapevoli che, dal punto di vista tattico, la situazione è tornata a sorridere all’esercito russo. Ma dal punto di vista strategico sarà così? Il Presidente deve necessariamente pensare anche al domani, al lungo periodo. La dipendenza da Cina, Iran e Corea del Nord (confermata dal suo recente viaggio) ha salvato la Russia dal baratro ma per la sopravvivenza diplomatica ed economica del Paese, Putin sa benissimo che è necessario riprendere un dialogo con l’Occidente. E per farlo, la guerra deve finire. Un dialogo che garantirebbe anche, in un certo senso, la “sicurezza della Russia“. Tale obiettivo sarebbe conseguito soltanto con l’intervento della diplomazia, con un accordo tra le parti che non arriverà di certo con la guerra in corso.

Per la Russia la situazione non è più sostenibile anche dal punto di vista economico. L’economia di guerra ha garantito la sopravvivenza e la solidità degli apparati industriali russi ma si tratta di risultati effimeri. La produzione di armi e bombe prima o poi finirà e cosa resterà dell’economia russa? Come verrebbero reimpiegati operai e tecnici che hanno lavorato nell’industria bellica?

Infine, il punto forse più importante per lo stesso Vladimir Putin. Da tempo si ventila la possibilità che l’Ucraina possa colpire città russe oltre confine. Se tale possibilità si concretizzasse sarebbe davvero uno smacco per il consenso personale di Putin. Se anche città relativamente lontane dalle zone delle operazioni venissero colpite, verrebbe meno quel patto che il Presidente ha stipulato con i suoi concittadini, cioè che la guerra non avrebbe influito sulla vita dei civili in quanto avrebbe visto impegnati soltanto militari professionisti.

Di conseguenza, i piccoli passi in ambito diplomatico e l’attuale situazione militare potrebbero rappresentare davvero, dopo circa due anni di tentativi falliti, un concreto catalizzatore per le possibilità di pace. Ovviamente le insidie non mancano, come “diplomazia vuole”, ma è innegabile che, rispetto al 2022, quella della pace sia tornata ad essere una prospettiva concreta.

Donatello D’Andrea

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