Buggenhout è in mostra a Bologna fino al 19 febbraio. Le opere esposte sono due e appartengono alla serie The Blind Leading The Blind.
Al secondo piano di Palazzo De’ Toschi, nella sala che da su Piazza Minghetti, si può ammirare il #65, del 2014. Pesante 1500 kg, può ricordare un relitto aereo, una fabbrica crollata, anche se, in realtà, grazie a certe componenti che ricordano le parti di un albero, non si è totalmente certi che questa scultura-architettura sia un organismo del tutto inorganico.
Come scritto nel pieghevole della mostra “Le sculture della serie ‘The Blind Leading The Blind'(…) hanno l’aspetto di relitti, macerie, rovine: opere nate da un intento razionale, ma fracassate e mutilate da un evento sconosciuto. In altri casi, l’impressione è quella di trovarsi di fronte a organismi soggetti a una proliferazione caotica bruscamente interrotta.”
Una stessa opera come la #65 stimola diverse interpretazioni a seconda dalla posizione da cui la si osserva. Camminandoci attorno, si nota come ogni lato lasci un’impressione differente. A creare questa pluralità di interpretazioni concorre certo anche la pluralità dei materiali: ferro, legno, alluminio, cartongesso, intonaco, plexiglas, gomma, poliuretano, polistirolo, stoffa e polvere domestica. Le associazioni mentali stimolate sono ricche e inconciliabili: viene da pensare al Merzbau di Kurt Schwitters o alle atmosfere distopiche dei fumetti di Enki Bilal, ad ambientazioni futuristiche e alle reliquie del passato sommerse dalla polvere, a una discarica e a una foresta.
Piuttosto che un’opera che “rappresenti” la realtà, Buggenhout tenta di creare qualcosa che vada a formare parte della realtà. Tutto il suo lavoro si sviluppa così in una continua fuga dal simbolismo, che pure l’autore di “The Blind” conosce bene, avendo studiato matematica. Ha infatti dichiarato:
“Ho studiato matematica. La matematica usa il linguaggio dei simboli. Le immagini delle cose – che sono, perciò, simboli delle cose – non riescono a cogliere la totalità. Ecco perché utilizzo l’analogia. L’analogia è di gran lunga più prossima alla realtà. Il mio lavoro non include la minima traccia di simbolismo. È completamente astratto.”
La seconda scultura in mostra, di dimensioni più ridotte, è la numero 25 della serie. Qui a fare da protagonista è la polvere, che pesa sulla struttura di plastica, poliuretano, poliestere, alluminio, ferro, legno e plexiglass.
Quella di Bologna è la prima personale di Buggenhout in Italia. Si tratta di una grande occasione di scoprire l’artista belga, nato a Dendermonde nel 1963. Un artista che sfugge alle categorie o, meglio, sembra muoversi tra esse a seconda del punto di vista con cui viene studiato.
Si può intendere Buggenhout come scultore, ma, di fronte alla colossale #65 viene da chiedersi se non sia un Buggenhout-architetto ad aver realizzato un’opera di queste proporzioni. Allo stesso tempo, tracce di pittura e un’attenzione ai toni sono riscontrabili
C’è il Buggenhout artista della polvere. Da una conversazione con Michaël Amy:
“La polvere cade sulle cose. Muta la forma e il senso delle cose. (…) Picasso lasciava che la polvere si accumulasse ovunque. Sapevi che nel XIX secolo si lasciava che la polvere turbinasse negli angoli delle case? La polvere era considerata un intermediario fra il mondo e l’ignoto. (…) Le mie sculture di polvere colgono la vita stessa. Sono piene di particelle delle persone – per lo più cellule e capelli – e ricolme di tracce dell’ambiente in cui quelle persone vivono.”
A chi scrive, oltre a Picasso, viene in mente un altro illustre antecedente in questa tradizione della polvere, ovvero Francis Bacon. Come riportato in questo articolo in inglese, Bacon non faceva mai pulire il suo studio perché utilizzava la polvere direttamente per dipingere.
Infine, da non sottovalutare, il Buggenhout artista fiammingo. The Blind Leading The Blind altro non è che il nome con cui, nel mondo anglofono, è conosciuto il quadro di Pieter Brueghel il Vecchio La parabola dei ciechi (in olandese: De parabel der blinden). Buggenhout stesso non ha fatto mistero di essere un grande ammiratore dell’opera custodita al Museo di Capodimonte di Napoli.
Luca Ventura