Shock. Era questa l’inconfondibile sensazione che aleggiava sulle sale cinematografiche che il 26 gennaio proiettavano “Split”. Il thriller psicologico di Shyamalan aveva il più classico dei temi: le personalità multiple. Rappresentare un tema già trattato da secoli in tutte le salse, questa la missione del regista. Shyamalan ci era riuscito meglio di tutti. Nel protagonista interpretato da James McAvoy coesistevano 23 personalità, delle quali ognuna poteva avere la “luce” in un momento diverso. La ventiquattresima, quella della “bestia”, era addirittura in grado di modificare il corpo del protagonista.

La sindrome del film presentava dunque una frammentazione dell’io in tante parti indipendenti. Un’estremizzazione che puntava allo sbalordimento generale, quella del regista de “Il sesto senso”, o, forse, una sacrosanta verità? Lo stesso shock creato dal film nelle sale, era la causa della nascita delle 23 personalità di Kevin, come nel più classico dei thriller. Si pensi, infatti, che proprio in seguito al più grande shock della storia moderna, scrittori e registi hanno iniziato a rappresentare questa sindrome.

1858, Darwin conferma: l’uomo deriva dalle scimmie. A questa scoperta seguiranno la relatività di Einstein e la teoria dell’inconscio di Freud. In seguito a queste teorie, l’uomo, spogliato di ogni sua certezza, entra in crisi di identità. Proprio in questa società stravolta, nella letteratura comincia a farsi strada il tema della “pluripersonalità”. Questo prende le mosse dalle illuminanti intuizioni dei primi romanzi psicologici.

I primi personaggi di Pirandello e Wilde presentano una forma “polarizzata” di personalità multiple. Anche questi sono soggetti allo shock di vicissitudini che gli hanno reso la società opprimente e invivibile. Proprio per questo l’io di Dorian Gray cercherà di superare i suoi confini umani creandosi l’alter-ego del ritratto, nel suo fascino fatale.

Lo stesso senso di inadeguatezza caratterizza il Mattia Pascal di Pirandello.

“Mi vidi per un momento lì nell’acqua verdastra della gora, fradicio, gonfio, orribile galleggiante”.

Moglie, suocera e amici lo avevano riconosciuto in un cadavere di un morto suicida.  Lo sfaccendato bibliotecario reagirà a  questo shock creandosi una nuova personalità, Adriano Meis. Questa, nella sua apparente libertà, si rivelerà presto una prigione per il protagonista

Tra gli esempi di doppie personalità, non potremmo dimenticare il celebre romanzo di Stevenson.  “Lo strano caso di Dr Jekyll and Mr Hyde” approda ad un livello ancora superiore di sdoppiamento dell’io. Le due personalità sono già insite in Dottor Jekyll: l’una animalesca, “contenitore” di passioni e desideri sfrenati; l’altra moderata e rispettabile. L’intento del dottore è quello di trovare un metodo scientifico in grado di separarle, quasi come Kevin in “Split”. Kevin, infatti, cercherà di rinchiudere le sue 23 personalità nelle cartelle del suo pc. In realtà il suo unico desiderio è quello di liberare gli istinti animaleschi della bestia. Lo stesso Dottor Jekyll in realtà si rivelerà soltanto desideroso di sprigionare i suoi istinti violenti.

Secondo molti critici, anche lo Zeno di Italo Svevo alterna una personalità chiaroveggente con una completamente cieca. Proprio attraverso la prima quest’ultimo era in grado di stravolgere le gerarchie tra salute “borghese” e malattia. Nel malato di nevrosi, la personalità chiaroveggente prende piede in un esatto momento: “Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute”. Nel suo diario, Zeno conclude con un epilogo tragico la sua lunga riflessione. Ciò gli permette di cogliere la radice profonda del malessere degli uomini: gli ordigni, da noi stessi costruiti.

È inevitabile come molti di questi scrittori prendano spunto da casi clinici. Questi ultimi, durante la storia si sono arricchiti sempre più: le personalità sono aumentate. Di conseguenza lo scrupolo di romanzieri e registi è diventato sempre più “clinico”.

“I tre volti di Eva” di Goeff Rolls, con il successivo film che varrà l’oscar all’attrice protagonista, nasce proprio da un caso clinico. Negli anni cinquanta, due studiosi pubblicano i loro studi riguardo una paziente che presentava tre distinte personalità. Ognuna di queste è completamente separata dalla altre e si comporta in maniera diversa. Questo disturbo, inizialmente sconosciuto, prende il nome di DPM. Da quel momento desterà l’interesse dei più grandi esperti di psicologia.

Nel 1954 le personalità diventano sedici, nella storia vera di Sybil, ragazza presa in cura dalla dottoressa Wilbur. Nel libro di Flora Rheta Schreiber, proprio la psichiatra aiuterà Sybil a ritrovare la causa del suo disturbo.Questa è ancora una volta un grande shock. Da bambina la ragazza era oggetto di torture da parte della madre. Anche questo aspetto si presenta chiaramente nel protagonista di Split. In Kevin, in seguito alle sadiche punizioni della madre, si sviluppò Dennis, la personalità di un maniaco dell’ordine.

Ancora oggi le varie identità che un uomo può assumere sono tra i principali argomenti trattati dal cinema e dalla letteratura. Si registrano numerosi ritorni al tema dello sdoppiamento. Nel 1999 David Fincher dirige Fight Club, ispirato all’omonimo romanzo di Chuck Palaniuk. Anche qui il protagonista Edward Northon ha a che fare con il suo alter-ego violento Tyler Durden. Nel 2004 Trevor Reznik in “The Machinist” scenderà a patti con il suo pentimento, Ivan.

Una straordinaria gamma di esempi ci comunica l’immenso interesse dell’uomo per le malattie che interessano la nostra meravigliosa e incontrollabile psiche. Queste ritornano continuamente, con numerose analogie e differenze tra loro. Straordinario è anche pensare che fatti a tratti macabri come quelli descritti da Shyamalan siano ispirati a qualcosa di realmente accaduto. Ecco fin dove può spingersi la sindrome dell’uomo contemporaneo.

Corrado Imbriani

 

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