La verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne

Mohandas K. Gandhi

 

L’ironia della sorte vuole che Block BCE, la manifestazione atta a criticare la politica dei vertici della Banca Centrale Europea, riuniti in pompa magna a Napoli, cada proprio nell’anniversario della nascita di Gandhi, il padre della disobbedienza civile.

L’immagine che l’opinione pubblica ha di Gandhi è uno dei tanti mostri che genera l’ignoranza, parafrasando Goya. L’indiano viene rappresentato come una sorta di santone, che ha trascorso l’intera vita a lottare attraverso il digiuno.

Ma Gandhi non è il Dalai Lama. Gandhi è stato un avvocato, con formazione occidentale, innanzi tutto simbolo della lotta all’Apartheid in Sudafrica ancor prima che Nelson Mandela nascesse. In India ha poi messo a punto la satyagraha (forza della verità), la sua strategia per fermare lo sfruttamento colonialista inglese.

La satyagraha consisteva nella concretizzazione degli ideali dell’ahimsa, la non-violenza, dove con non violenza non si intende passività, ma pacifismo attivo. Gandhi avrebbe addirittura preferito una reazione violenta al totale inattivismo di fronte alle ingiustizie.

I modelli di Gandhi erano occidentali: Lev Tolstoj e soprattutto Henry David Thoreau, autore del saggio “Disobbedienza civile”. Thoreau sosteneva la necessità di ricorrere ad una rivoluzione non violenta per combattere leggi ritenute ingiuste, ossia la non-collaborazione. Gandhi fece totalmente sue le idee di Thoreau.

Gli indiani, sotto la leadership di Gandhi, sfidarono il Regno Unito coi mezzi più disparati, ma sempre nonviolenti: boicottaggi, picchettaggi, sabotaggi, scioperi, marce, digiuni, violazione delle leggi liberticide, invasione pacifica delle caserme. Il risultato è agli occhi di tutti: gli inglesi, alla fine, concessero l’indipendenza agli indiani.

C’è chi dice che la satyagraha non è applicabile ovunque, che gli Inglesi sono diversi dai Nazisti, ad esempio. Ma, in contesti come quello italiano, la non-violenza è più che possibile.

Alla vigilia di ogni corteo come quello odierno, i giornalisti si fregano le mani, aspettando che la “solita” violenza delle manifestazioni gli regali visite a gogò. I Napoletani, in questa occasione, hanno dimostrato reale furbizia e spirito scendendo in piazza con le maschere di Pulcinella (Federico Salvatore cantava “Se io fossi San Gennaro giuro che mi vestirei Pulcinella Che Guevara e dal cielo scenderei per gridare alla mia gente tutto ciò che mi fa male”) e, soprattutto, in modo assolutamente pacifico.

Nonviolenza per molti significa codardia, non volersi sporcare le mani, non voler affrontare il proprio nemico. Per questo viene esaltata la reazione violenta contro la polizia e gli striscioni ACAB sono troppo presenti in giro, in una confusione fra manifestazioni solo di facciata pacifiche ed espressioni della più becera mentalità ultras.

Siamo il paese degli scontri del caso Giuliani, del caso Diaz. Ogni manifestazione si trasforma in un “caso”, degenera quasi inevitabilmente in scontri violenti. L’opinione pubblica si spacca puntualmente in due fazioni, che appoggiano, rispettivamente, la polizia o i manifestanti. Chi ha ragione? Forse tutti hanno torto, forse tutti sono stati ciechi nel pensare che la violenza potesse essere il giusto modo per reagire ad una situazione iniqua… E per reagire ad altra violenza.

I rumori delle vetrine rotte sono uno spettacolo tristemente tipico dei cortei, di ogni colore politico. La chiusa delle serrande, per paura della devastazione dei propri negozi, da parte dei negozianti, è ormai abitudine.

Ciò che ha fatto più rumore oggi è stato l’assordante silenzio provocato dai Napoletani. La manifestazione pacifica che si dimostra realmente pacifica sembra un’ovvietà, una tautologia, ma nel nostro paese è una, bellissima, eccezione.

Non voglio giudicare i fini della manifestazione, non voglio dire se sono d’accordo o meno. Voglio parlare dei mezzi. Oggi Napoli ha sconfitto prima di tutto i pregiudizi della stampa, di certa stampa già pronta a stampare il titolone alla prima aggressione.

E, in secondo luogo, ha reso il più grande omaggio a Gandhi, a 145 anni dalla sua nascita. Napoli ha dimostrato che “nonviolenza” non è solamente una bella parola puramente teorica, è un ideale vivo, concreto, fattivo, utile.

Ciò di cui il governante di turno dovrebbe e, probabilmente, ha paura non è la reazione violenta, perché dal popolino, guardato dall’alto con sufficienza, lo scatto d’ira momentaneo è previsto. Ma il coraggio di lottare con le proprie idee completamente disarmati, a testa alta, fieri e orgogliosi di ciò che si fa, usando come arma la sola presenza e la sola voce… È la protesta più spaventosa che mai ci possa essere.

Perché la violenza del momento passa. La costanza e la profonda convinzione che le proprie idee sono più forti di mille pistole, invece, sono incontrollabili.

 

Il Direttore

Davide Esposito

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