Siamo portati ad accorgerci della realtà della vita quando essa ci colpisce più duramente. Il bene ed il male si confondono, e rimane il dolore, la paura e lo sterile passare del tempo. Nella notte si è spento Davide Astori, ritrovato morto questa mattina nella sua camera d’albergo ad Udine. La tragedia ha travolto la serie A, portando alla sospensione ufficiale della giornata di campionato, ed oltretutto ha suscitato la reazione del presidente del CONI Giovanni Malagò, il quale ha sottolineato “la necessità di controlli assidui” per tutti gli atleti.

La morte fa parte della realtà. E quando colpisce ci sono ben poche parole che si possono spendere che abbiano un senso, poiché la logica e la razionalizzazione non riescono a trovare sbocchi in questo processo che fa parte anch’esso della vita. Scrivo queste parole da tifoso viola, da cittadino, da uomo che vive in una società deprivata ormai dell’empatia. Quell’emozione che riesce a portare ad una mentalità collettiva, in cui si può capire i propri problemi e risolverli solamente guardando ed interessandosi dell’altro. Scrivo queste parole da fiorentino, da ragazzo che ha vissuto una realtà sociale suo malgrado limitata, la quale ci spinge a frequentare tutti gli stessi posti, a vivere negli stessi spazi. Che ci porta a sostenere una maglia ed un colore tutte le domeniche. Che ci porta a criticare e glorificare altri uomini che invece vestono quelle maglie. Scrivo queste parole analizzando come il calcio – e lo sport in generale – sia rimasto una delle poche prove di empatia verso e tra le persone. L’empatia che si genera perché si condividono dei momenti, perché si sopportano insieme gioie e dolori, perché si combatte insieme.

E questa forza va oltre le distinzioni sociali, si raccoglie in ogni campo di periferia, in ogni pallone bucato o ad ogni porta senza rete con cui abbiamo imparato ad innamorarci di uno sport. Il desiderio di essere felici, almeno un giorno, almeno per novanta minuti. E c’è, appunto, chi di questo desiderio è riuscito a farne professione, schiere di ragazzi che ogni anno si immettono nel mondo della professione, nel mondo del capitale umano, in cui diventano oggetti, scambiabili come figurine per l’offerta migliore. Il distacco sociale evidente non ferma però la passione delle persone. In una società sradicata dei valori, in un ambiente soggiogato dalla incessante divisione della collettività in entità separate, capaci solamente di produrre e spendere, questo desiderio non si è mai frenato.

Scrivo queste parole per salutare un’ultima volta Davide Astori, per fare le condoglianze alla famiglia, per confessargli che l’emozione del ricordo sarà sempre più forte, che il tempo non farà sconti, che la vita è anche questo. Tuttavia, la vita è anche ciò che ha costruito Davide, condividendo la stessa passione che ha condiviso con milioni di altri giovani; qualcosa che non può essere dimenticato. Qualcosa che Firenze non dimenticherà.

C’è tutta una vita in un ora d’amore” (Honoré de Balzac)

Niccolò Inturrisi

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