Il 24 marzo scorso, a Tunisi, un gruppo di giovani amici (otto uomini e due donne) si riunisce in un appartamento per trascorrere  insieme una delle prime serate primaverili. I ragazzi sono omosessuali, alcuni di loro attivisti della LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), e per questo motivo sono vittime di una retata della polizia: gli uomini sono accusati di “sodomia”, secondo l’articolo 230 del codice penale tunisino, mentre le donne di prostituzione.

Sembra che i giovani siano tutti reclusi a Mornaguia, un carcere di Tunisi, notoriamente grande, affollato e molto violento. Perciò, a causa di questa ingiusta situazione, la loro incolumità psicofisica è a rischio.

Tre di loro erano già stati arrestati per lo stesso “reato” e durante la loro permanenza in carcere hanno subito inopportuni test anali e violenti abusi da parte delle guardie e degli altri detenuti. Il test in questione è una sorta di esame dell’ano che non ha nessuna validità scientifica e che è volto solamente a procurare dolore, per cui può essere classificato come una forma di tortura.

Ambroise Tardieu, un medico francese dell’Ottocento, pensò per la prima volta a questo tipo di test, che non trovò conferma nelle opinioni degli altri scienziati; per tale motivo questa pratica non si diffuse in Europa ma nelle colonie, dove pratiche umilianti come questa servivano ad affermare la superiorità dell’uomo bianco.

Pier Cesare Notaro de “Il Grande Colibrì”, denuncia: «Non è concepibile che un paese che ha fatto una rivoluzione per liberarsi da una dittatura, perseguiti qualcuno non per quello che fa ma per quello che è: arrestare un gay, condannarlo perché è gay, liberarlo e poi arrestarlo di nuovo perché continua a essere gay è più che paradossale».

La retata di Tunisi non rappresenta un’eccezione, anzi, negli ultimi sei mesi si sono susseguite numerose vicende come questa, alcune delle quali conclusesi con una mezza vittoria per le persone accusate di sodomia. Infatti a Kairouan, nel mese di dicembre, sono stati arrestati sei studenti omosessuali, ma dopo un mese di reclusione e il pagamento di un’ammenda hanno riacquistato la libertà.

Sono ormai passati due anni dalla caduta di Ben Ali, ma gli omosessuali in Tunisia sono ancora vittime di discriminazione, a causa di un’omofobia crescente che li costringe a lottare per i propri diritti.

Per gli omosessuali vivere in Tunisia corrisponde quasi ad essere dei detenuti ancora in libertà, o comunque a commettere un reato.

Ci sono testimonianze di ragazzi allontanati dalle loro famiglie perché non accettati per come sono, quindi minacciati di morte dalle stesse nel caso in cui volessero tornare a casa.

È chiaro che in Tunisia esiste un problema per quel che concerne i diritti civili, ed è altrettanto chiaro che dopo una forte dittatura gli strascichi dell’’autoritarismo e dell’incomprensione siano ancora forti nella società. Tuttavia è importante che il paese compia questo ulteriore step verso la democratizzazione e nel farlo saranno fondamentali sia l’aiuto dell’Occidente, che dovrà vestire i panni del fratello maggiore e più esperto, che l’impegno e la lotta degli omosessuali tunisini, i quali dovranno continuare a lottare per i propri diritti.

Alessandro Fragola

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.