“Un romanzo-poema, o se volete, uno show in cui intervengono moltissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi: quello della Passione”.
È il commento di Eugenio Montale in riferimento a il “Maestro e Margherita”, un capolavoro di Michail Bulgakov, un romanziere attivo nella prima metà del ‘900.
L’esperienza di giornalista e drammaturgo che ha vissuto durante la guerra civile a Mosca è particolarmente visibile nelle particolari e coloratissime scenografie che fanno da sfondo alle vicende del romanzo. L’opera infatti è intrisa di colore, di avvenimenti e da una miriade di personaggi che ad una lettura superficiale potrebbero dar l’impressione di una mancata organizzazione. Peggiora la situazione il fatto che ogni protagonista sia appellato con il suo nome, soprannome e cognome, dettaglio che mette spesso alla prova la memoria del lettore. Ma dopo qualche capitolo la trama inizia a prender vita e il caos inizia a ridimensionarsi e a svelarsi come un filo conduttore, una forma allegorica che mette a nudo le intenzioni di Bulgakov. Lo scrittore infatti per i suoi temi aspri ha da sempre avuto un dilaniante rapporto con la critica. La maggior parte delle sue opere hanno messo a dura prova il governo sovietico che censurava questo e quel romanzo, sperando di placare l’animo ruggente di una penna tanto affilata. Nel 1928 in una lettera al fratello scrisse:
“Con queste stesse mani ho gettato nella stufa le minute di un romanzo sul diavolo, di una commedia e l’inizio di un altro romanzo”.
L’opera in questione è sicuramente Il maestro e Margherita in cui vi è riassunto anche il concetto della celebre massima “i manoscritti non bruciano”.
Il romanzo si svolge su due filoni narrativi e il primo si apre con tre personaggi principali. Presso gli stagni di Patriarsie di Mosca il presidente della Massolit, Michail Aleksandrovic Berlioz e Ivan Nikolaevič Ponyrëv incontrano un forestiero, Woland. I tre discutono sull’esistenza di Dio toccando temi filosofici e filologici, ma il discorso raggiunge il culmine quando Woland insinua che Dio non può non esistere dato che lui in persona ha assistito al suo processo a Gerusalemme, è stato ospite a colazione da Kant, e, infine, dice agli interlocutori di sapere come e quando morirà Berlioz. I due atei vanno via indignati, ignorando le sue parole ma da questa scena si dirama man mano l’intera trama del libro. Berlioz dopo pochi passi si imbatterà nel tristo mietitore proprio come annunciato e Ivan, intimorito, finirà in manicomio perché creduto pazzo in seguito le sue assurde richieste di aiuto. Proprio in ospedale troverà risposta a tutti i suoi quesiti grazie ad uno scrittore internato che usa come suo appellativo “il Maestro” perché “ormai non ha più un nome”. Lo strambo personaggio racconta la sua storia: del romanzo su Ponzio Pilato che lo ha portato alla fine della sua vita, di come l’amore lo abbia rapito e condotto con sé, della pazzia, della decisione di dare alle fiamme la sua opera e di fuggire lasciando la sua amante e di come, al centro di tutto, vertesse la presenza di un certo Woland, Satana disceso in terra, mascherato da stregone che dà spettacoli di magia nera, accattivando la platea. Bulgakov adotta per la folla una descrizione quasi manzoniana, in cui la calca si contraddistingue per la sua caoticità, i suoi colori, la sua inettitudine. Sono persone che hanno deciso di non recarsi a lavoro, di non impegnarsi o far qualcosa di costruttivo per dilettarsi, rilassarsi e per soccombere alla curiosità nutrita per la magia nera, come fossero i protagonisti della vicenda di Sodoma e Gomorra, destinati a restar pietrificati per aver accontentato Satana ed esser diventati suoi burtattini.
Nella seconda parte del libro viene finalmente presentata Margherita, l’amante del Maestro che ancora cerca imperterrita il suo amore perduto, ignorando la sua sorte. Ripete:
“ L’amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpì subito entrambi. Così colpisce il fulmine, così colpisce un coltello a serramanico! Del resto, lei affermava in seguito che non era così, che ci amavamo da molto tempo, pur senza esserci mai visti”.
Ma proprio lei, simbolo di purezza e vigore, la Penelope odisseiana, sta per mutar forma. Nessuno sfugge alla tentazione del diavolo, tantomeno la bella Margherita. Riceve un invito a casa di uno straniero (il diavolo stesso) con la promessa di aver in cambio qualche notizia riguardo il suo Maestro. Riceve inoltre una crema che poi si scopre esser miracolosa: la fa ringiovanire e rinvigorire tanto da farle assumere le sembianze di una strega. Approfittando quindi delle sue nuove doti decide di farla pagare a tutti coloro che causarono la sfortuna del suo amato. Di ritorno appare sfatta, rivoluzionata, come se il malvagio l’avesse fatta sua e decide di essere la regina del gran ballo del plenilunio di primavera che si tiene la notte che coincide con il Venerdì Santo, attorniata da una miriade di figure infernali. Passata la prova Woland esaudisce il desiderio di Margherita e il Maestro appare davanti a lei, col manoscritto del suo romanzo tra le mani.
«Non ha meritato la luce, ha meritato la pace»
sono le parole di Jeshua che, a detta di Levi Matteo, ha letto il romanzo del Maestro.
Così si ha l’incontro con la seconda parte del romanzo, un racconto che si sviluppa interrompendo continuamento quello principale e che crea paragoni e parallelismi con la storia della Mosca del tempo. Si tratta di una sorta di testo biblico, in cui Ponzio Pilato appare incuriosito e attratto dalle parole di Gesù, tormentato per la sua morte, disperato per il ruolo che lui stesso ha avuto. Nel finale infatti, come santificati, i due coniugi vengono uccisi da Woland nel giorno di Pasqua e sono ascesi. Pilato viene descritto come una figura solitaria che viene liberata dai tormenti dal Maestro stesso.
Si tratta di un romanzo critico e che tocca ogni punto saliente di una società dilaniata. Si basa su una visione religiosa particolare che, con fare tassiano, ci mostra un Bulgakov disilluso. Margherita è la chiave di tutto, la ginestra leopardiana e la Beatrice dantesca che cambia volto più volte, scende fino agli inferi e ne esce più forte e caparbia di prima. È quindi possibile affacciarsi al di là della tentazione, possibile ma poco probabile. Lo scrittore introduce numerosi riferimenti al profano, a causa del quale chi non s’intende della società sovietica del tempo rischia di non cogliere tutti i passaggi. La figura di Satana intanto ci chiarisce qualche punto. Il diavolo con i suoi spettacoli e i suoi colori sembra quasi simboleggiare quella creatività e libertà di pensiero che sicuramente lo scrittore desiderava seppur non potendo viverla. La parola scritta ci appare infatti “salvifica” o per lo meno pregnante di significato. Un romanzo religioso può distruggere una vita, attrarre le scorribande di Satana stesso e diventare il fulcro di un romanzo tanto fortunato come quello scritto da Bulgakov.
Alessia Sicuro