Il Premio Oscar Leonardo DiCaprio, nel prossimo film che lo vedrà protagonista, interpreterà Joe Petrosino, poliziotto antimafia nato a Padula in provincia di Salerno e naturalizzato statunitense. Il film, ancora in fase di progettazione, si chiamerà The Black Hand.
Deadline ha comunicato pochi giorni fa che la Paramount Pictures ha acquistato i diritti per poter realizzare l’equivalente cinematografico di The Black Hand, romanzo di Stephan Talty in cui si narra la vera storia di Joe Petrosino, il poliziotto italiano originario di Padula naturalizzato statunitense e ucciso a Palermo dopo una lunga lotta contro la criminalità organizzata, nel 1909.
Trepidante nell’attesa del film anche il Vallo di Diano, terra natìa di Petrosino e proprio nel paese della Certosa di San Lorenzo, vi è un museo a lui dedicato.
Al piano terra dell’edificio c’è la casa d’origine del poliziotto, conservata in perfette condizioni e al piano superiore un interessantissimo museo sulle lotte alla criminalità organizzata.
Per un’analisi approfondita sulla figura di Joe Petrosino, per trovare una risposta ad altri interrogativi che sorgono spontanei leggendo la sua storia e provando a rapportarla ai “nostri tempi”, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il Professore Marcello Ravveduto, docente di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Salerno nonché storico delle mafie.
Professore, lei ha definito Joe Petrosino “il primo a scoprire la globalizzazione della criminalità organizzata”. Quale è stato il ragionamento che l’ha portato a questa intuizione?
“Globalizzazione della criminalità organizzata perchè quel contesto, esattamente come oggi, era caratterizzato da flussi migratori. I movimenti delle persone, dei popoli sono protagonisti della nuova fase di rimescolamento delle nazioni e oggi come allora, all’interno di essi vi si andavano a creare anche movimenti di criminali che si spostavano da un paese all’altro. Petrosino segue entrambi i canali, sia i risultati finali che lui ritroverà essendo figlio di quella migrazione negli Stati Uniti, ma anche quelli originali. Nel tentativo di andare a scovare le origini di quel fenomeno per poi reprimerlo o quantomeno bloccarlo attraverso le indagini e l’iter di giustizia”.
“The Black Hand”, la Mano Nera era una sorta di organizzazione criminale, si è detto precedesse la mafia e che si sviluppò tra la fine dell’800 e i primi del ‘900.
Petrosino fu il primo a indagare su quelli che poi diventarono i collegamenti tra criminalità statunitense e italiana, ma come operava la Black Hand?
“Qui si pone il problema tra quella che era l’origine siciliana e quelli che erano i risvolti della “Black Hand”, che ben presto diventerà “Mafia”, “Cosa Nostra” americana.
The Black Hand era, inoltre, legata ad un immaginario costruito sul controllo che avveniva negli Stati Uniti da parte di alcuni immigrati sui “nuovi immigrati” che erano sottoposti a estorsioni, sfruttamento del lavoro, proprio perchè gli Stati Uniti erano in crescendo e necessitavano della manodopera.
Joe Petrosino viveva e lavorava nel quartiere “Little Italy” e prima prestare servizio come poliziotto svolse diversi lavori tra i più umili come ad esempio il netturbino, con la fortuna di avere un padre sarto e vivendo in mezzo ai fenomeni della Mano Nera e dell’assoggettamento di diversi cittadini italiani immigrati negli Stati Uniti ad altri connazionali che stavano edificando la loro società criminale. Per cui conosceva bene il sistema di relazioni che aveva a che fare con precisi richiami ad un modo di organizzare le cosidette “società d’onore” dell’Italia Meridionale. Certamente il fatto che lui non provenisse da territori direttamente coivolti dai fenomeni di criminalità organizzata come la Sicilia, come la metropoli napoletana o i territori della provincia di Reggio-Calabria. Ma il fatto che fosse originario delle aree interne della provincia salernitana lo allontanò da una concezione del vivere basato su un sistema in cui si andava avanti solo cedendo ai ricatti e gli diede modo di comprendere che far rispettare le regole era la cosa più giusta da fare per evitare le ingiustizie. E lo pensò in maniera così decisa da naturalizzarsi americano attraverso una scelta forte: diventare poliziotto”.
A lei è stata affidata la direzione scientifica della galleria virtuale “mafia antimafia”, presente nella Casa/Museo Joe Petrosino di Padula.
Com’è nata questa iniziativa? E nello specifico in cosa consiste?
“Galleria virtuale “mafia antimafia” mira a ricostruire attraverso una serie di filmati inediti concessi dalla Rai, che raccontano delle storie essenzialmente legate a quattro temi:
– Cosa Nostra in America e l’emigrazione quindi ricollegandosi direttamente a Joe Petrosino
– Cosa Nostra in Sicilia che fu il ponte di contatto che aveva individuato Petrosino
– Ricostruzione sulle storie della Camorra ci sembrava opportuno considerando dove che ci trovavamo Padula, nel salernitano, in Campania
– Venti Anni del Movimento Antimafia in una stanza che si trova al piano superiore della Casa Museo Joe Petrosino proviamo a ripercorrere la storia della lotta alla criminalità organizzata dal ’92 fino ai giorni nostri. Ad esempio, mostrando immagini e video delle Gionate della Memoria e dell’impegno promosse ogni 21 di Marzo da LIBERA – Contro le Mafie, o anche attraverso l’istallazione di un virtual-desk che consente di fare ricerche sul materiale caricato”.
Come si affronta il tema della legalità rapportandosi a quella che sarà la classe dirigente del domani, le nuove generazioni?
“Innanzitutto senza utilizzare stereotipi, ma dimostrando come questo sistema di potere ha colpito le libertà costituzionali cosi come ha colpito il sistema economico legale italiano.
Creando una paradossale irriconoscibilità del legale e dell’illegale, e in cui i sistemi di potere sono conniventi alla corruzione sia negli enti locali che nel settore privato determinando condizioni di offuscamento dell’economia legale. Tant’è che è facile rendersi conto che parte del nostro PIL (uno dei più importanti delle nazioni industrializzate della sfera occidentale) è frutto anche dell’economia mafiosa. Si deve raccontare chiaramente ai nostri ragazzi anche che uno dei pilastri economici della globalizzazione è il narcotraffico, per far comprendere di cosa si sta parlando, per trasferire conoscenza. D’altra parte bisogna motivarli, battendo sul fatto che chi ha combattuto contro la criminalità organizzata in questo paese e magari ci ha lasciato la pelle, non deve essere concepito retoricamente come l’ “eroe”, ma come patriota. Si tratta di persone che hanno giurato sulla Costituzione lealtà alla repubblica. La politica nasce per governare la repubblica, l’idea che la repubblica debba essere difesa è antecedente alla scelta politica. E anche se in questo momento storico è difficile da far comprendere è sicuramente stimolante dal punto di vista dell’impegno civile”.
Giuseppe Luisi