Le elezioni sono il cuore pulsante della democrazia. Questo sistema così controverso, complicato e difficile da interpretare si regge sulle basi teoriche salde e marmoree del volere comune, della forza del popolo che decide le sorti collettivamente. Tuttavia, stiamo attraversando un momento storico in cui la corsa elettorale sembra essere diventata non più il proscenio della democrazia ma un luogo astratto in cui gli interessi della collettività si fondono con le promesse di cambiamento, il luogo della vittoria delle regole del mercato negli strumenti della democrazia. Riportando alla luce “Le affinità elettive” di J.W. Goethe, ci si può focalizzare su alcuni passaggi, fondamentali non soltanto per comprendere l’attualità delle tematiche dell’autore ma soprattutto per contribuire a analizzare quegli aspetti nascosti della democrazia, quegli anfratti in cui le regole del mercato economico, della globalizzazione e del capitalismo hanno plasmato e mutato il modo di intendere e di fare politica nella società moderna.

L’opera di J.W. Goethe si colloca in un tempo assai diverso, in cui le influenze della scienza e della filosofia si stavano facendo sempre più forti a discapito di una religione annaspante nelle sue contraddizioni e nelle sue prese di posizione: non è possibile, dunque, paragonare due tipi di società così lontane. Tuttavia ci è utile riportare in auge il pensiero dell’autore, soffermandosi sulla riflessione che rappresenta il fulcro del suo romanzo: che esistano, cioè, delle analogie fra i fenomeni della natura e quelli del comportamento sociale.

Presa di coscienza, questa, del fatto che siamo influenzabili da forze che ci appartengono, dai sentimenti con cui riempiamo ogni attimo di una vita che sembra quasi scivolare via dal nostro controllo. Siamo influenzabili, volubili. Compiamo azioni e prendiamo decisioni in base ad un comportamento tanto razionale quando emozionale, irragionevole. La coscienza di un io che non si sofferma più semplicemente a ragionare sugli eventi ma ne è, egli stesso, parte integrante. Siamo naturalmente e istintivamente portati a cercare connessioni, condividere emozioni con altre persone, che anch’esse hanno il bisogno di esternare.

Oltretutto, come molti altri filosofi hanno sottolineato nel corso del tempo, l’uomo è un animale sociale, economico e sopratutto politico. Estensione delle sue capacità per adattarsi e plasmare la propria realtà. Se, in passato, le forze di costrizione identificate da Goethe erano la Chiesa e la famiglia come nuclei portanti e conservatori, adesso le chimere si sono spostate, si sono adattate ed hanno mutato forma. Il liberismo sfrenato ha lasciato lo spazio alla crescita di un capitalismo che mette al centro l’individualità, l’uomo singolo che decide. Così facendo, egli ha tagliato i fili che partivano dalla radice deleuziana, rappresentazione del nostro essere, diramandosi in cerca di altri simili. Siamo lasciati da soli a decidere, non agiamo più come una collettività.

Non ci si deve stupire, dunque, di quanto la democrazia sia diventata un folle mercato elettorale, dove le proposte sono portate avanti da strilloni autorizzati a urlare più forte degli altri per farsi sentire, per attirare più clienti.

E questa logica della democrazia del mercato si ripercosse anche negli studi letterari, in cui spicca il lavoro di Anthony DownsAn Economic Theory of Democracy” (1957). In questo libro, l’autore cerca di enunciare una teoria secondo la quale non solo è possibile spiegare il comportamento degli elettori ma soprattutto dei partiti seguendo delle analogie con il mondo economico: esattamente quelle che vedono i partiti come aziende che hanno il compito di vendere e di immettere nel mercato un prodotto, di creare dei profitti.Il mercato della democrazia passa esattamente dal voto, da quello strumento così importante ma tuttavia così esclusivo che non rappresenta più un volere comune ma il volere del singolo acquirente di quel prodotto che sembra il migliore.

È facile quindi osservare le elezioni in maniera diversa, associando a quelle promesse non più delle azioni empiriche ma proposte, per cui realtà e finzione vengono manipolate e dove l’informazione diventa uno strumento cruciale. I social media, i telegiornali e le televisioni si fanno carico di portare l’informazione, di filtrarla e decodificarla per gli spettatori che sono abituati solamente a scegliere.

Il concetto di libertà che si erge nella democrazia si è fatto ritratto di una società del mercato, in cui ognuno punta a massimizzare il proprio interesse, agendo in una razionalità che fa, sì, parte del nostro essere ma che non potrà mai essere la sola.

«Si dice “vuoi morire?” quando uno fa qualcosa di contrario alla sua natura e ai suoi modi. Quali difetti è lecito conservare, anzi, coltivare in noi? Quelli che lusingano il nostro prossimo, piuttosto che ferirlo. Le passioni sono difetti e virtù, ma elevati di grado. Le nostre passioni sono vere e proprie fenici. Come la vecchia è bruciata, subito la nuova esce dalle ceneri. Le grandi passioni sono malattie senza speranza. Ciò che potrebbe guarirle è proprio ciò che le rende pericolose. La passione, confessandola, s’esalta e s’attenua. In nessun’altra cosa sarebbe forse più da desiderare la via di mezzo, che nel confidarsi e nel tacere con coloro che amiamo.» (J.W. Goethe, Le affinità elettive, 1809)

Niccolò Inturrisi

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