Si deve all’anglo-americano John O’Keefe (75 anni), dell’University College di Londra, e alla coppia norvegese May-Britt (51 anni) ed Edvard Moser (53 anni), entrambi della Norwegian University of Science and Technology (NTNU) di Trondheim, la scoperta che ha permesso loro di ricevere uno dei premi più ambiti a livello mondiale: il Nobel per la medicina e la fisiologia.

Stiamo parlando infatti del sistema di cellule nervose grazie al quale è possibile l’orientamento. Questa ricerca è iniziata negli anni ’60, ed ha avuto i primi risultati nel 1971, quando il neurofisiologo John O’Keefe ha scoperto che alcune cellule del cervello nei topi vengono attivate nel momento in cui un questi ultimi si trovano in una particolare posizione.

Notò infatti che un tipo di cellula nervosa nell’ippocampo, struttura del cervello in cui la memoria di un ambiente viene immagazzinata per essere poi utilizzata in un momento successivo, si attivava ogni volta che una cavia di laboratorio cambiava direzione per andare da qualche parte. O’Keefe, grazie a una serie di ulteriori studi, arrivò a capire che quelle cellule servissero al cervello per creare una mappa dello spazio in cui si trova la cavia.

Ben 34 anni più tardi la coppia norvegese formata da May-Britt ed Edvard Moser, è riuscita a completare la mappatura delle cellule coinvolte nella localizzazione.

Nel 2005 la coppia ha infatti scoperto che le cellule coinvolte nell’orientamento spaziale si trovano soprattutto nella parte inferiore dell’ippocampo, chiamata corteccia entorinale. Tutte insieme queste cellule costituiscono una sorta di griglia esagonale, all’interno della quale ognuna segue diversi schermi di orientamento. Identificarono una cellula nervosa, che chiamarono “cellula grid” (“cellula a griglia”), in grado di costruire una serie di coordinate per permettere a ogni individuo di conoscere non solo dove si trova, ma come fare per raggiungere un altro posto.

Gli scienziati integrarono il loro studio con quello di O’Keefe, il quale aveva dimostrato come alcune cellule cerebrali riuscissero ad attivarsi non solo per la memorizzazione visiva dello spazio, ma anche per costruire una mappa mentale dettagliata del luogo circostante.Studi successivi a quelli di O’Keefe e dei Moser, realizzati con strumenti per la diagnostica tramite immagini (come la risonanza magnetica), hanno permesso di confermare l’esistenza di questi schemi di orientamento anche nel cervello umano.
Patologie neurologiche come ad esempio l’Alzheimer portano a forti danni a regioni come l’ippocampo e la corteccia entorinale, determinando la perdita della capacità di orientamento del malato.

La scoperta di queste cellule e di questi schemi permetterà infatti la comprensione dei meccanismi che determinano queste patologie, portando ad una possibile cura futura.

Christian Nardelli

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