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Memorie dal sottosuolo: la bellezza della distruzione

“E perché voi siete così fermamente, così solennemente sicuri che soltanto quello che è normale e positivo, in una parola, soltanto la prosperità sia vantaggiosa all’uomo? La ragione non s’inganna nei vantaggi? Può darsi che l’uomo non ami la sola prosperità. Può darsi che ami esattamente altrettanto la sofferenza. Può darsi che proprio la sofferenza gli sia esattamente altrettanto vantaggiosa quanto la prosperità. E l’uomo a volte ama immensamente la sofferenza, fino alla passione, anche questo è un fatto.”

Il desiderio inappagabile e conturbante di distruggere ed essere distrutti, di dissipare tutto ciò che di prospero, autentico e sereno caratterizza l’esistenza umana, l’attrazione fatale per l’abisso, così terrificante, e così meraviglioso: queste le tematiche principali del capolavoro dostoevskijiano “Memorie dal sottosuolo”.

Cos’è il sottosuolo? Il mondo interiore, nascosto, inaccessibile, orrido, spaventevole agli altri occhi umani, in cui le convenzioni sociali si ribaltano, scompaiono, svaniscono del tutto, per lasciare spazio ad un’indomita e sublime libertà che pian piano diventa come una sorta di droga a cui è impossibile resistere. L’uomo è in pace con se stesso e si riconosce per ciò che è realmente solo in questa dimensione, suo nido materno, e ad essa non può rinunciare. Nel sottosuolo “l’intelligenza è peso insostenibile”: l’uomo sprofonda nell’inferno di se stesso a causa della sua eccessiva consapevolezza, della sua corrotta e depravata interiorizzazione di tutto ciò che gli accade, di tutto ciò che lo tange che, proprio in questo luogo della sua anima, assume toni drammatici, seppur traviati. Il mondo esterno, così distante e così diverso, viene spogliato dal suo sguardo turpe. Egli filtra tutto ciò che si posa davanti a lui, secondo la perversione, sua intrinseca caratteristica.

sottosuolo

“Vi giuro, signori, che aver coscienza di troppe cose è una malattia, una vera e propria malattia. Eppure sono convinto che non soltanto una coscienza eccessiva, ma la coscienza stessa è una malattia.”

Il fallimento è dolcezza. Esso non è causa di disagio, di vergogna; al contrario diviene il marchio insostituibile del sottosuolo.

“Cospargetelo di tutti i beni del mondo, sprofondatelo nella felicità finché non gli arrivi fin sopra la testa; […] dategli una tale tranquillità economica, che non gli rimanga proprio nient’altro da fare se non dormire, mangiare pasticcini e adoperarsi perché la storia universale non finisca: bene, anche così l’uomo, da quel bel tipo che è, e unicamente per ingratitudine, vi combinerà una qualche porcheria. Metterà a repentaglio perfino i suoi pasticcini, e a bella posta desidererà le più rovinose sciocchezze, la più antieconomica delle assurdità, all’unico scopo di poter mescolare a tutta questa positiva ragionevolezza il proprio rovinoso elemento fantastico.”

Memorie dal sottosuolo

Il sottosuolo è allergico alla felicità, alla serafica quiete, all’assennata armonia, alla pacifica serenità. Esso ignora l’essenza della leggerezza, dell’equilibrio, al contrario, rifugge da essi.

L’intrinseco desiderio di distruzione e di autodistruzione è “cifra di umanità”. L’uomo è uomo, proprio perché avverte su di sé il macigno della vertigine, quella che Milan Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere” definisce come “l’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere”, che è una vera e propria “ebbrezza della debolezza”.

“Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso.”

Gli istinti inconfessabili e reietti dell’uomo trovano spazio proprio negli abissi dell’anima, così come il ripudio nei confronti della società mediocre, abitudinaria, conforme al positivismo che la affossa in una dimensione ancora più grigia, vana, inconcludente. Questo è il sottosuolo: la tana buia, sudicia, sozza, ripugnante, in cui il piacere di annientare ed essere annientati provoca un perverso godimento, ma è fine a se stesso.

“Noi ragioniamo seriamente; e se non mi volete degnare della vostra attenzione, non vi farò certo degli inchini. Io ho il sottosuolo.”

Clara Letizia Riccio

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