Pochi giorni fa è arrivata la conferma di ciò che da tempo si sospettava: i 43 studenti della Escuela Normal Rural de Ayotzinapa scomparsi a Iguala sono stati uccisi dai narcotrafficanti. Tre criminali dell’organizzazione narco Guerreros Unidos hanno, infatti, reso note le dinamiche delle atrocità che da due mesi hanno gettato il Messico nel caos.
A rendere pubblica la notizia è stato il procuratore federale di Guerrero Jesus Murillo Karam: “I detenuti hanno detto che hanno gettato i corpi nella parte bassa della discarica, dove li hanno bruciati. Hanno fatto turni di guardia per assicurarsi che il fuoco bruciasse per ore, versandoci sopra combustibile, pneumatici e altri oggetti“. I resti dei 43 normalistas sono stati poi smaltiti in buste di plastica gettate nel fiume San Juan, nei pressi di Cocula, Guerrero. Secondo la raccapricciante ricostruzione dei tre narcos, circa 15 studenti sarebbero morti per asfissia durante il sequestro, ben prima di arrivare sul luogo dell’omicidio sommario, mentre altri sarebbero stati dati in pasto alle fiamme ancora vivi.
Quanto sta succedendo oggi in Messico è senza mezzi termini terrificante e rappresenta un caso limite di estrema sovversione degli equilibri democratici e della concezione stessa di libertà individuale. La stabilità del paese è a serissimo rischio e le ondate di proteste e di indignazione nei confronti di questo ennesimo orrore stanno assumendo, a ragione, proporzioni gigantesche. Già negli scorsi mesi, quando si era ancora nel campo di tremende ipotesi poi rivelatesi fondate, diverse località del paese erano state teatro di proteste incandescenti nei confronti degli organi dello stato. Oggi, dopo che gli ultimi riprovevoli particolari sono stati resi noti, l’intensità delle manifestazioni è in continuo incremento.
Nelle ultime ore, un gruppo di colleghi dei 43 studenti uccisi hanno assaltato e dato alle fiamme il Palazzo del Governo federale a Chilpancingo de los Bravo, capitale dello stato di Guerrero. A dar manforte all’azione dei normalistas sono arrivati membri del Frente Único de Normales Públicas del Estado de Guerrero (FUNPEG), cioè studenti di altre scuole normali superiori dello stato, e una delegazione di studenti e insegnanti direttamente provenienti da Città del Messico. Lo stato di Guerrero è, in questi giorni, una fucina di tumulti, tra azioni sovversive e spontanei ricorsi all’autodifesa da parte di municipi rurali la cui sicurezza personale è seriamente messa in dubbio dalla collusione tra narcos e forze dell’ordine.
Intanto, nuove manifestazioni stanno infiammando il Distretto Federale: stando a quanto riportato da El Universal, diversi cortei e flash mob stanno andando in scena a Piazza della Costituzione (el Zócalo), principale centro dell’identità politica e sociale messicana. Al grido di “fue el Estado“, le marce e le fiaccolate del D.F. stanno riunendo centinaia e centinaia di cittadini indignati dal coinvolgimento diretto del Governo di Peña Nieto. I manifestanti sono scesi per le strade della Capitale muniti di maxi fotografie dei 43 studenti uccisi e cartelli su cui campeggiano messaggi di protesta come “essere studenti in Messico è più pericoloso che essere narcotrafficanti“.
Il profondo sdegno della popolazione cittadina è, inoltre, sfociato in un tentativo, da parte di alcuni manifestanti, di dare alle fiamme la porta del Palazzo Nazionale al centro dello Zócalo; un’immagine forte, esemplificativa della rabbia che stanno provando oggi i messicani, tanto grande da riversarsi direttamente sul simbolo della loro identità nazionale.
Cristiano Capuano