Moder
(Lacasadelrap.com)

Un anno e qualche mese fa Lanfranco Vicari, in arte Moder, uscì con “Ci sentiamo poi“, l’album che a detta di chi ama e segue questa musica, lo consacrò definitivamente come pezzo grosso dell’hip hop italiano. Era marzo 2020, e il mondo aveva già mosso i primi timidi passi verso il baratro della pandemia. Tirava aria di incertezza, e più che di distrarsi si aveva (ancora) voglia di capire e di capirsi. Il tempo iniziava a scorrere in maniera diversa, e per tante coscienze addormentate suonò una sveglia importante. Lo spazio per la musica leggera (anzi leggerissima…) si ridusse ai minimi termini e infatti molti artisti ed etichette abituati a cavalcare quel tipo di onde scelsero di tenere la loro roba in comodi cassetti, in attesa di tempi migliori. La musica che uscì fu quella che non teme l’ascolto consapevole e che messa difronte all’abisso sente più voglia di volare che paura di cadere. Sì, perché uscire in quel periodo voleva dire diventare colonna sonora di vite che stavano facendo i conti col dolore, con la paura, col lutto. Già solo per pubblicare serviva coraggio. Per arrivare al cuore della gente serviva anche spessore, e l’album di Moder possedeva entrambe le cose. Perché lui è così, un termometro della società, che in tempi caldi sale di livello e vibra più forte.
Dopodiché la pandemia ha picchiato duro. Coi morti, con le chiusure forzate, la frustrazione. Una solitudine non scelta e quindi terribile. Un trambusto a cui ognuno di noi ha reagito e sta reagendo a modo suo. E se qualcuno si è domandato come abbia reagito Moder la risposta è una sola: scrivendo. Raccontando la vita. Ancora di più, ancora meglio. E così, a poco più di un anno di distanza da “Ci sentiamo poi”, ha visto la luce anche “Acrobati”, il nuovo EP di Moder composto da cinque tracce pubblicato per Gloryhole Records il 18 giugno scorso.
Abbiamo colto l’occasione per fare quattro chiacchiere direttamente con Moder. Si è parlato di “Acrobati”, e non solo:

Ciao Moder e grazie per concederci questa intervista. Innanzitutto vorrei farti una domanda riguardo quest’ultimo anno e mezzo: che tipo di strascichi ipotizzi per l’industria dello spettacolo nei mesi a venire? Credi sia stato fatto abbastanza per il mondo della musica?


«É ancora presto per dirlo, sicuramente è tutto più strano in questo momento. C’è una bulimia di eventi di ogni tipo, credo che rispetto all’estate scorsa soffriranno molto i piccoli e medi concerti, visto che molto mainstream ha deciso di ripartire. Credo che il mondo della musica in particolare quello dei concerti fosse già in difficoltà prima dell’inizio della pandemia, le iniziative messe in campo a livello legislativo non hanno inciso come avrebbero dovuto soprattutto non si sono ripensate le modalità di organizzazione dei concerti un’occasione persa per rendere tutto più semplice, soprattutto i piccoli e medi eventi citati prima, credo che il problema sia da ricercare dagli interlocutori del governo che non hanno per nulla aiutato la categoria. La politica doveva costruire tavoli di confronto seri, invece i soliti hanno occupato il dibattito con le idee molto confuse: servono nuove regole fiscali e tecniche altrimenti molti mondi musicali rischiano di saltare per aria.»

Moder
Moder. Rapologia.it

Moder, passiamo al nuovo EP. La tua musica è da sempre contraddistinta da un cocktail di rabbia e malinconia perfettamente bilanciato. In “Acrobati”, anche nelle produzioni, sembra tuttavia predominare il tuo lato malinconico, come se la pandemia avesse in qualche modo levigato i tuoi equilibri interiori. È così?


«Anche qui è presto per dirlo, la pandemia per me è stato un periodo molto creativo sicuramente in questi pezzi intravedo brandelli di un percorso futuro. Sto cercando il centro di questo nuovo percorso da qualche tempo, artisticamente mi sento in trasformazione, gli ultimi 3/4 anni ho studiato tanto e ora ho molte possibilità espressive, ora la difficoltà è quella di scegliere cosa fare per il prossimo disco. Rispondendo alla domanda la rabbia non è scemata, anzi, ma credo di aver aumentato il range delle cose di cui parlo. La pandemia ci ha cambiati tutti e credo nulla tornerà esattamente come prima.»

Uno dei versi che colpiscono di più in tutto il progetto l’ho trovato in Antartide ed è «In fondo la luna è solo un sasso con le luci addosso». Pensi che il processo di crescita di una persona abbia in qualche modo a che fare col disincanto e/o la disillusione? Se sì, credi che questo rappresenti uno schianto al suolo oppure un avvicinarsi alla verità?

«La disillusione se non sfocia in cinismo è positiva, ti rende più obiettivo e solido. Mi sono schiantato mille volte. Ora so come cadere per contenere i danni, ma senza i tuffi nel vuoto io non saprei vivere, inoltre credo che l’arte tutta si nutra di vertigine.»

Della tua scrittura amo il fatto che, come quella degli autori simbolisti, essa procede per immagini isolate che paiono legate le une alle altre più per le sensazioni trasmesse che per dei fili logici veri e propri. Nel tuo processo di scrittura, senti effettivamente un’influenza della poetica simbolista e/o di qualche altra corrente poetica che ti ha segnato particolarmente?

«Leggo e ho letto molto, amo il flusso di coscienza, attraverso le immagini si riesce a trasformare la realtà, le parole e la musica sono arti magiche che non conosciamo fino in fondo. Spesso dall’inizio alla fine di un pezzo mi perdo in labirinti per poi ritrovarmi dove non avrei mai pensato di arrivare. Mi sento molto vicino ad alcuni autori più che a correnti precise: Majakovskij, Pasolini, Dubito, frullati con i film di Clint Eastwood regista, le visioni di Blake, le frasi ubriache di Fante, la schiettezza poetica di Primo Brown… Sono alla ricerca continua di stimoli, forse per questo fatico a scegliere una strada sola.»

Un libro su tutti?

«Demian di Herman Hesse, perchè mi ha iniziato alla passione per la letteratura.»

La tua musica è piena di riferimenti a eventi del tuo passato o comunque autobiografici: nel momento in cui la musica diventa mestiere che dà da vivere, c’è il rischio che la vita dell’uomo artista si tranquillizzi e possa offrire meno spunti creativi? Se sì, come riesci ad arginare questa problematica?

«Vivo molto intensamente, la musica per me non è mai stata un lavoro: è il modo in cui ho deciso di affrontare la mia vita. Il fatto che con la mia passione abbia costruito una “mezza carriera” citanto Madbuddy, non mi parta a “VIVERE” meno, anzi, la musica è stata la compagna con cui ho scelto di schiantarmi contro il mondo.»

So bene della tua stima nei confronti di Murubutu, col quale hai anche collaborato in “Ci sentiamo poi”. Pensi che lo storyteling e quindi la possibilità di immaginare e raccontare storie non autoriferite possa essere una soluzione che la scena rap dovrebbe tenere di più in considerazione per non scivolare nella ripetitività?

«La strada scelta da Murubutu ossia lo storytelling sistematico ha portato all’interno del nostro mondo un ventaglio di possibilità inedite, e credo che questo gli debba essere riconosciuto molto di più. Quando ascoltai Quando venne lei la mia visione del rap cambiò per sempre. Credo che uno dei problemi principali del rap vecchio e nuovo sia che per fare parte di questo mondo spesso si provano strade che mediocrizzano le proposte artistiche, che si impantanano in formule trite e ritrite. Una sorta di dramma seriale dove non cambia mai niente tranne, quando va bene, il suono. Il rap sta diventando grande, e infatti inizia a cambiare e a cercare altri modi di proporsi. Le possibilità sono infinite, è solo una questione di coraggio perché essendo un mondo ha riferimenti forti e formule consolidate. La paura di deludere i propri pari spesso è più forte dell’esigenza artistica. Ma credo stiano succedendo cose bellissime. Murubutu è una di queste, ma penso anche al testamento artistico di Mac Miller o XXX: tutto è in movimento.»

Moder
Moder, Acrobati. lostingroove.com

In Cerotti (feat. Wiser) canti «Qua si gela e tu sei una carezza dentro la tragedia». Credi che l’Amore, qualunque forma esso prenda, sia un cerotto per curare il dolore oppure la conseguenza di uno stato di felicità?

«L’amore all’inizio non lo scegli: ti assale e ti toglie ogni sicurezza, ma poi quando è vero va scelto tutti i giorni anche quando fa male. Credo che l’amore sia una ferita sempre aperta più che un cerotto, in certi momenti però è talmente potente che ti fa perdere i confini di chi sei e ti fa diventare un essere unico con l’altra persona. Ecco, quei momenti sono il cerotto.»

Moder, chi sono i veri acrobati del nostro tempo?

«Chiunque si svegli alle 5 per portare il pane a casa, chi ha la forza di costruire una famiglia qualunque essa sia e prendersene cura, chi riesce a non diventare un figlio di puttana in un mondo che ci ha reso iene incapaci di qualsiasi sentimento che non riguardi noi stessi, chi ha la forza e la testardaggine di sbagliare, chi riesce a tenere tutti i cocci insieme anche se dentro è a pezzi, chi non ha perso la forza di sognare davvero non una posizione una carriera ma il sogno quello che ti fa viaggiare stando fermo, chi riesce a ingoiare ogni difficoltà e ogni insulto e riesce a credere che domani possa essere meglio. Ecco, gli acrobati sono milioni e continuano a esibirsi e cadere ogni giorno.»

(Per l’ascolto e il download di “Acrobati” di Moder: http://www.sferacubica.it/pressroom/moder-acrobati/)

Daniele Benussi

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