Nell’articolo precedente Libero Pensiero ha mostrato lucidamente i presupposti della politica che fanno da fondamenta ai principi di Repubblica, codificando poche cause che rendono questo stato politico un paradigma irrealizzabile; ma le condizioni basilari di una civiltà predisposta all’uguaglianza non pongono vincoli morali solo ai governanti – i quali, come già scritto, dovrebbero risultare gli addetti all’adempimento del sommo bene – ovviamente; bensì anche ai cosiddetti cittadini, reclusi nella passività dei procedimenti economici fusi tra gli eventi storici.
Nella Repubblica di Platone, lo Stato prende forma su uno stilobate reggente i vari bisogni di donne e uomini: base di una colonna possente sono coloro i quali lavorano per la produzione degli effetti primari, come agricoltori e artigiani. Durante i dialoghi tra Socrate, Glaucone ed Adimanto, nel libro II, i rétori discutono animatamente circa le condizioni che favoriscono l’applicazione delle ingiustizie nella collettività, analizzando lo stato nascituro di questi fenomeni: si arriva alla conclusione che questi siano figli prematuri e corrosivi di un prodotto scatenato dalla necessità di ingrandire lo stato con mercenari e negozianti, che ornino di futili bellezze i mari e le città, come capitelli corinzi decorano una colonna la cui struttura è comunque di palese utilità per le sue sole fondamenta:
“Lo stato vero è uno stato sano. Ma se voi volete che consideriamo uno stato rigonfio, nessuno ce lo impedisce. Alcuni vorranno letti e altre suppellettili e pietanze e incensi e profumi ed etère e focacce, e ciascuna di queste cose in grande varietà. Ecco allora che abitazioni, vestiti, calzature non dobbiamo più considerarle come le uniche necessarie; dobbiamo invece ricorrere alla pittura e al ricamo e procurarci oro, avorio e ogni altra simile materia.”
Uno dei paradossi da contestualizzare nasce quindi dall’analogia con cui il mestiere di commerciante è mutato da necessità di soddisfare materialmente a vera e propria qualità nel creare l’esigenza, come si usa rivelare oggi ai corsi di formazione nei settori di vendita; è il caso di evidenziare una sottile linea trasparente che diventi ricca fibra, e sovrapponga i tempi in cui la mercede era scambio di beni, importante per la sussistenza e –più recenti- tempi in cui l’attività politica in generale è organizzata non più secondo fattori sociologici bensì in relazioni ai valori monetari.
Ma cos’è che ha consentito l’approdare a questo nuova tipologia di fare politica? In principio, il capitalismo, padre fondatore di una globalizzazione mondiale, nasceva – come citato da Adam Smith – in qualità di caratteristica del conservatore. Colui che risparmiava, possedeva determinati beni a cui ne si aggiungevano altri grazie alla sua perspicace attività del rivendere l’eccesso. E fin qui l’economia, in nome di materia, potremmo ancora definirla come scienza che produce rapporti sociali tra venditori e consumatori; una scienza dal fine utilitario. Ma nel momento in cui i beni, i patrimoni, le eredità, diventano immateriali e non favoriscono lo sviluppo dei capitali sotto forma di prodotti necessari – essendone sottratti alle genti e creandone squilibri di classe – questi minacciano la stessa disciplina di ingrandirsi, divenendo qualcosa capace di superare l’avanzamento umano; lo sviluppo capitalistico è infatti diventato una perturbante minaccia all’ordine del giorno, che sventola ai telegiornali titoli con più e meno oscillanti a seconda di regole fatte a strategia di logica tirannide; e questo processo di razionalizzazione, non è che la consueta bramosità di ricchezze, la quale secondo i nostri personaggi di riferimento non organizza che tirannide pronta a sopraffare chi non possiede l’eredità per poter a sua volta legiferare.
Infatti l’attività politica non è più considerata quale assicurazione del cittadino a far parte di un’insieme di soggetti, ma questi hanno a malapena la possibilità di usufruire dei bisogni secondari attraverso il pagamento bancario, rateizzato e mascherato da interessi da strozzino; il fenomeno si comporta come di controllo alle masse, grazie a mezzi di diffusione propagandistica e soprattutto a causa del problema della maggioranza cittadina di sentirsi una minoranza troppo disunita nei confronti delle varie filiali troppo grandi da combattere.
I mercati sono riusciti a sviluppare in tempi rapidissimi (soprattutto grazie all’avvento della televisione) un nuovo sistema economico che Socrate avrebbe sostenuto subdolo, magari attraverso tesi di complotto a sfavore dei capitalisti e dei consumatori stessi: l’economia cognitiva. Il termine cognitivo ha favorito la tramutazione della politica sociologica in politica prettamente finanziaria, fatta di uomini ereditariamente benestanti che sottoscrivono decisioni legiferate da lobbie e multinazionali. Questa tipologia di trasmissione si è stabilita grazie alla capacità comunicativa e persuasiva, adoperandone un meccanismo che funge da parte dominante rendendo gli uomini automi forzati dal consumo.
A seguito di questo sentimento democratico di passivismo, nel prossimo articolo cercheremo di spiegare perché la forma di politica economizzata riesca nell’impresa dell’invincibile senza che nessuna voce umanamente ragionevole, provi a sfatarne l’utilità per il benessere comune.
Note: Platone, “La Repubblica” (Libro II, 372 – 373)
Alessandra Mincone