Gli studi che hanno come obiettivo l’identificazione di una cura definitiva per l’autismo sono innumerevoli.

Di conseguenza altrettanto ampi sono gli ambiti di ricerca ad essi correlati visto che l’autismo è una patologia complessa le cui origini sono ancora pressoché sconosciute.

Bisogna sgomberare subito il campo da questioni che con la scienza hanno poco a che fare e che invece rientrano nel campo della disinformazione e della polemica divenendo, peraltro, estremamente pericolose.

Esempio lampante il presunto quanto astratto legame tra vaccini e autismo che ha viaggiato sulla rete e su altri mezzi a velocità pazzesche producendo addirittura un calo delle vaccinazioni con tutte le conseguenze del caso.

Bisogna essere chiari e realisti perché se da una parte la strada per una cura dei pazienti affetti da autismo è ancora molto in salita dall’altra dovrebbe risultare altrettanto chiaro che teorie strampalate e prive di fondamento hanno utilità pari a zero.

Questo perché un team di ricercatori dell’Università della Virginia ha focalizzato la propria attenzione sul legame tra sistema immunitario e autismo definendo elementi estremamente interessanti che però, se travisati come spesso accade, rischiano di diventare benzina per l’inutile e deleteria polemica di cui sopra.

In particolare lo studio è concentrato su una parte del cervello chiamata “corteccia prefrontale” che, in diversi test su modelli animali, sembra avere un ruolo determinante sulle capacità di socializzazione del soggetto, uno degli elementi chiave che descrivono l’autismo.

L’attività di questo distretto importantissimo del cervello è risultata essere particolarmente sensibile alle caratteristiche del sistema immunitario del soggetto in particolar modo a carenze di interferone gamma, una molecola espressa dai linfociti T durante la risposta immunitaria.

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Nelle cavie prese in esame è stato “silenziato” il gene che esprime i recettori per l’interferone gamma nei neuroni della corteccia prefrontale ed il risultato ottenuto è stato quelli che gli scienziati si aspettavano: topi “asociali” con comportamento decisamente diverso dal normale che tendono ad ignorare gli altri topi.

Il risultato ottenuto è oltretutto analogo al vero punto di partenza di questa ricerca, ossia l’osservazione del comportamento di topi con carenza di linfociti T che si comportano esattamente come quelli “modificati” per l’esperimento riportando anch’essi caratteristiche comportamentali associabili all’autismo.

Ancora più interessante è il fatto che, iniettando in questi ultimi interferone gamma direttamente nel liquido spinale si riesce a ripristinare una situazione comportamentale normale.

Secondo gli scienziati del team questa importante serie di elementi ottenuti andrebbe addirittura a spiegare il fatto che i bambini affetti da autismo sembrano avere maggiori capacità relazionali quando hanno la febbre. Cioè quando lo stato infiammatorio del soggetto produce maggiore attività dei linfociti T e maggiori livelli di interferone gamma.

Uno studio decisamente importante ed estremamente ambizioso che ha come obiettivo principale quello di aprire una strada certa nella identificazione e produzione di una cura farmacologica contro l’autismo.

Un obiettivo importante ancora agli albori che non ha tempi definibili né tantomeno certezze ma che sembra rappresentare qualcosa di veramente concreto e palpabile.

Di certo una speranza in più per chi è affetto da autismo e per chi vive questa situazione da vicino ogni giorno. Per chi vive quel mondo che oggi, nonostante tutto, è ancora troppo “a se stante”.

Mauro Presciutti

 

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