COP21, ossia la ventunesima conferenza delle parti sui cambiamenti climatici sotto l’egida delle Nazioni Unite, che si è tenuta in questi giorni a Parigi, si è conclusa  poche ore fa. La prima di queste conferenze mondiali sul clima si svolse a Rio nel 1992. Da allora l’andamento di questi incontri si può sintetizzare in 19 nulla di fatto, un protocollo, quello di Kyoto nel 1997, ed un grande punto interrogativo su cosa succederà nei prossimi anni.

12366626_1011951172184488_630126988_nLa COP21 si è presentata con auspici differenti rispetto, ad esempio, allo storico fallimento di Copenaghen nel 2009. Grandi potenze (USA e Cina su tutte) prendono sul serio il problema del clima e dell’inquinamento, aziende importanti (come Google e Apple) investono cifre considerevoli sulle energie rinnovabili, e addirittura il Papa ha pubblicato Laudato Si’, l’enciclica che addita i combustibili fossili come i principali colpevoli dei cambiamenti climatici, dicendo chiaramente che la questione del clima è anche a un problema morale.

Ma se il riscaldamento globale è ormai scientificamente appurato, perché negli ultimi dal ’92 si sono susseguiti solo fallimenti? La risposta, almeno in parte, è svelata da una inchiesta di Greenpeace UK che ha documentato come due professori americani (Frank Clemente della Penn State University e William Happer di Princeton) si siano resi disponibili a firmare, dietro lauto compenso, articoli “scientifici” che negassero gli impatti sanitari del carbone e l’importanza del tema dei cambiamenti climatici, proprio in previsione della COP21.

Al personale di Greenpeace è bastato fingersi dipendenti di grandi aziende del petrolio e del carbone e chiedere ai due professori di scrivere gli articoli per negare il problema delle fonti fossili e, tariffario alla mano, i “luminari” si sono messi a disposizione, garantendo anche l’anonimato sui finanziamenti.

Con queste premesse l’importanza di quest’accordo sta tutta nel fatto che per la prima volta è stato sottoscritto da tutti i paesi partecipanti, anche da quelli emergenti, che spesso sfruttano moltissime fonti di energia non rinnovabile. L’accordo si basa su quattro impegni per gli Stati che lo hanno sottoscritto.

  • Mantenere l’aumento di temperatura sotto i 2°C (usando come punto di riferimento l’età pre-industriale), e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi.
  • Smettere di aumentare le emissioni di gas serra il prima possibile e raggiungere entro il 2050 un livello di emissione sufficientemente bassa da essere assorbita naturalmente.
  • Controllare i risultati ottenuti ogni cinque anni, attraverso nuove Conferenze.
  • Investire 100 mld di dollari all’anno nello sviluppo di energie rinnovabili nei paesi più poveri per far sì che il loro sviluppo sia il più sostenibile possibile.

Alcune di questi punti sono vincolanti, mentre ad altri si aderisce solo su base volontaria. Ad esempio, tutti i paesi sono obbligati a raggiungere l’obbiettivo di riduzione delle emissioni che gli spetta e a partecipare al processo di revisione quinquennale. La maggiore critica che viene avanzata al documento è che non sono previste sanzioni in caso in cui gli obbiettivi non vengano raggiunti, e quindi diversi paesi avranno margine per ignorare gli obblighi.

La domanda che viene a tutti è: quali azioni dovremo mettere in pratica negli anni a venire per mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2°C? Il secondo obiettivo, quello delle “zero emissioni nette” entro la seconda metà del secolo, significa sostanzialmente dover abbandonare i combustibili fossili entro il 2050. Una vera rivoluzione, che provocherà costernazione nei quartier generali delle compagnie del carbone e nei palazzi del potere dei Paesi esportatori di petrolio.

12366659_1011951145517824_87720250_nÈ questa la vera sfida che ci aspetta. Gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni presentati alla COP21 non sono infatti sufficienti per raggiungere questo obiettivo, e l’accordo firmato a Parigi non fa nulla per cambiare le cose.

Ma se politicamente questi accordi sono deboli, a guardar bene, un successo a Parigi è c’è stato ed è stato enorme, e riguarda i cittadini. Durante le due settimane di negoziati, ci sono state mobilitazioni in tutto il mondo. Quasi 800 mila persone sono scese nelle strada per la Marcia Per il Clima il 29 Novembre: numeri impressionanti se si pensa che la manifestazione più imponente, quella di Parigi che prevedeva la partecipazione di 400 mila persone, è stata cancellata per motivi di sicurezza.

E proprio nelle persone risiede la speranza: a prescindere da quelli che sono gli accordi raggiunti alla COP21, Parigi non è un punto di arrivo bensì un punto di partenza per un movimento globale a difesa del clima, per fermare carbone petrolio e gas e assicurare a tutti un futuro 100% rinnovabile.

Per liberarci definitivamente dei combustibili fossili e costruire un futuro pulito abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Il nostro destino sarà deciso nei prossimi anni dal coraggio collettivo della nostra specie. Perché, in fin dei conti, non si sta parlando di salvare il clima o il Pianeta, ma molto più banalmente milioni di vite umane sulla Terra.

Greenpeace Gruppo di Napoli

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