Il brainch della domenica: Se cercate la collocazione politica del M5S, la trovate in via Almirante

Nel caso un’alleanza di governo con la Lega di Salvini non fosse sufficiente; se la composizione di un gruppo al Parlamento europeo assieme ai nazionalisti xenofobi dello UKIP non bastasse del tutto; se nonostante il disconoscimento dell’antifascismo come un valore in cui riconoscersi, il desiderio di cancellare i sindacati, gli attacchi biliosi alla stampa con tanto di liste di proscrizione di giornalisti scomodi o sgraditi, e la campagna di demonizzazione dei migranti e delle ONG che li salvano dall’annegamento in mare permanesse ancora qualche dubbio, ci ha pensato il gruppo consiliare di Roma a dare un aiutino a chi ancora si ostina a definire il M5S “né di destra, né di sinistra”, votando assieme a Fratelli d’Italia la mozione per intitolare una strada della capitale a Giorgio Almirante.

Cari lettori, la domanda a questo punto sorge spontanea: cosa dovranno ancora fare i cinquestelle per essere finalmente identificati per quello che sono? Aggiungere un fascio littorio al proprio simbolo? Cancellare la Legge Scelba? Costringere con un decreto la Barilla a cambiare nome in Balilla?

Chi era Giorgio Almirante

Co-fondatore e segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante rappresenta, per storia, caratura e fedeltà la figura politica per antonomasia della destra italiana, l’anello di congiunzione tra il ventennio fascista e l’innesto nelle istituzioni democratiche della Repubblica germogliata sulla Resistenza.

Giorgio Almirante

Almirante collaborò inoltre come giornalista per Il Tevere, quotidiano fascista, e per la rivista La difesa della razza, sul cui primo numero apparve il “Manifesto della razza” di cui fu firmatario. Fu generale della Guardia Nazionale Repubblicana di Salò, co-fondatore dei Fasci di Azione Rivoluzionaria e capo di gabinetto presso il MinCulPop.

Dunque fascista, razzista e massimo rappresentante di un partito, il MSI, che poteva vantare stretti legami con la P2 di Licio Gelli e collaborazioni attive con lo stragismo nero degli anni ’80: un curriculum di tutto rispetto, accompagnato da un rigore ideologico che lo vide sempre acceso sostenitore del Duce e del fascismo fino al giorno della sua morte.

Facile capire perché il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia abbia proposto di intitolargli una strada; altrettanto facile, per i più disincantati, comprendere il motivo per cui anche il M5S abbia votato a favore di quella mozione: Almirante rappresenta un emblema di quell’italico patriottismo che il governo gialloverde ha imposto come nuovo (o almeno lavato con Perlana) mantra comunicativo, un leitmotiv incessante per rinvigorire l’orgoglio viscerale del popolino. Ma il peggio doveva ancora arrivare.

Ciao, sono Virgina Raggi e non so cosa ci faccio qui

L’apice del farsesco si è raggiunto quella sera stessa, sulle frequenze di Porta a Porta, quando alla sindaca M5S, ospite di Bruno Vespa, è stato chiesto se fosse d’accordo nel dedicare una via ad Almirante. Se non l’avete ancora fatto, andate a guardare il video e l’espressione di Virginia Raggi nel venire a conoscenza in diretta della pantomima nostalgica che il suo gruppo consiliare aveva appena messo in atto.

Sarebbe voluta sparire nel nulla, smaterializzarsi e ricomparire un paio di galassie più in là, la povera Virginia: ma ormai la frittata era fatta. E per questo ha tutta la mia solidarietà e compassione. Prima qualche parola di approvazione farfugliata con evidente imbarazzo, poi, a tarda serata, il dietrofront. Il M5S voterà un’altra mozione con cui si impedirà che le strade della capitale vengano intitolate a fascisti o razzisti; quindi niente via Almirante a Roma, ma magari su via Al Più Presto ci si farà un pensierino.

E non avrebbe potuto fare altrimenti, la buona Virginia, che già travolta dallo scandalo corruzione per il nuovo stadio è rimasta succube e vittima degli eventi, come sostanzialmente accade sempre quando c’è di mezzo il M5S.

Dalla post-ideologia all’ideologia del post

È quello che accade quando si forza a tutti i costi una frattura nella dialettica politica, inseguendo dei concetti-totem che si rivelano fantocci, come il vaffanculo, il tutti a casa, il fanno tutti schifo e l’onestà che andrà di moda. A furia di svilire le categorie tradizionali di destra e sinistra, di presentarsi con la tediosa arroganza del nuovo che avanza, di riciclare il populismo sotto forma di illusoria rappresentatività nella democrazia liquida (roba che Bauman vorrebbe essere ancora vivo solo per prenderci a ceffoni), il M5S ha capovolto, stravolto, smantellato e fatto a pezzi schemi, riferimenti e paradigmi.

La politica è passata così dalle aule del Parlamento alle dirette facebook, dalle vertenze sindacali ai retweet, dai referendum ai condividi se sei indignato. Un terremoto culturale che ha saputo smuovere così tanto il terreno sotto i nostri piedi da riesumare vecchi cadaveri che credevamo (e speravamo) ormai sepolti per sempre; fascismo compreso.

Il castello di carte del M5S e l’Italia senza più fiato

Il Brainch della domenica
Il Brainch della domenica – Illustrazione a cura di Antonella Monticelli

C’è un assioma fondamentale che descrive le dinamiche in politica: se non sei né di destra né di sinistra, sei di destra. Il M5S ne è la rappresentazione plastica, ma non certo per una via da intitolare ad Almirante. Loro, gli “eredi di Berlinguer”, hanno già scelto da tempo da che parte stare, facendo passare tutto ed il contrario di tutto pur di racimolare consenso ed assurgere al potere, cannibalizzando, per ironia della sorte, proprio quella Sinistra che mentre il mondo andava a rotoli si guardava l’ombelico per espellere i nippoli dissidenti.

Una costruzione fragile come un castello di carte, senza che però nessuno abbia il fiato per soffiarci sopra e far crollare tutto. Ed è questo il dato più triste e sconcertante. Perché agli occhi dell’opinione pubblica il Governo con la Lega e la via per Almirante resteranno delle astute mosse strategiche, o nel migliore dei casi piccoli compromessi accettabili, pur di incuneare l’Italia sulla retta via che già Dante, non a caso fiorentino come Renzi, ci aveva fatto smarrire con le sue terzine di propaganda per favorire il PD.

E pazienza se accade un giorno di trovarsi al Governo gente che giura sul Vangelo e poi lascia 629 esseri umani in mezzo al mare. Pazienza se occorre sentirsi dire che la famiglia è quella composta da uomo e donna, che non ne esistono altre e che l’aborto è un crimine. Pazienza se si propone un sostentamento economico per i più poveri e alla fine si riducono le tasse ai più ricchi. La pazienza è la virtù dei forti, dopotutto. Di sicuro è la virtù dei morti.

Buona domenica, lettori cari.

Emanuele Tanzilli
@ematanzilli

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