Füsch, visioni di azzurre giornate e notti infiammate di stelle
Fonte: Jestrai Records

Ricerca artistica e intellettualismo: c’è tutto questo nella musica pregna di espressività e nella forte carica emotiva dei Füsch, quattro persone alla mano a cui piace creare prodotti grezzi e genuini, che nel panorama musicale locale (e non) difficilmente si trovano.

Füsch è un esperimento visionario che guarda oltremanica, una ricerca di atmosfere trasognate e private, talvolta inintellegibili. Con una musica modulata su sonorità sofisticate e melopee britanniche, il complesso musicale orobico gioca d’azzardo, accostando nenie ipnotiche, a tratti definibili psichedeliche, ad arrangiamenti post-rock cupi e marini. La contraddizione richiama le proprietà mutevoli degli elementi naturali.

Prima del sound, ciò che colpisce sono le parole. Vocaboli leggeri e, al contempo, pesanti nella testa come macigni: i testi dei Füsch incarnano quel qualcosa di cui necessitiamo per poterci risvegliare dal torpore a cui la quotidianità ci costringe, per comprendere che, forse, ci stiamo accontentando, che qualcosa non sta andando secondo i piani, che non dobbiamo aver timore di buttare giù quel muro di insicurezza che, mattone dopo mattone, ci costruiamo negli anni.

Come si sono conosciuti, e come è nata la collaborazione tra loro, lo facciamo raccontare a Mariateresa Regazzioni (voce, tastiera, synths, piano e loops), in arte e per gli amici Mari, cuore pulsante del gruppo composto, oltreché da lei, da Pier Mecca (batteria, percussioni, flauto e loops) e Simone Romanelli (chitarra elettrica, chitarra rezophonic e armonica); occasionalmente prende parte alle registrazioni Massimo Pannella al basso.

Come nascono i Füsch?

«I Füsch nascono nel gennaio del 2010. Pier ed io suonavamo già insieme da qualche anno; sentivamo la mancanza di una chitarra elettrica e di un basso. Abbiamo messo un annuncio in rete al quale hanno risposto il resto dei componenti della band. Tra noi c’è stata da subito una buona alchimia. In dialetto bergamasco, il nome del gruppo significa “scansati” o “scostati”. Il primo disco “Corinto” – registrazione curata da Alessandro Dentico – esce per Jestrai nell’ottobre del 2012.»

L’album “Mont Cc 9.0 Third Act” è il terzo capitolo di una trilogia, che, in questi tempi incerti, può essere intesa come una promessa. Perché tale predilezione?

«La trilogia è una pazzia nata durante un rientro da un concerto. Avevamo tante idee in testa, ma volevamo attuarle con calma, lasciare che maturassero al punto giusto. Questa scelta ci è pesata un filino: fare tre dischi in un anno, considerando concerti e vite personali, è stato molto impegnativo per noi Füsch

Avete registrato il successivo “Chemical Light” in una cascina di montagna. Quanto l’atmosfera e il clima, penetrando l’ambiente, incidono nel vostro modo di intendere la musica?

«I dischi li abbiamo tutti registrati lì; la sala prove è stata allestita a studio di registrazione. Sicuramente l’ambiente influisce notevolmente: nella musica dei Füsch si sentono gli odori, si vedono i colori della natura che cambiano di stagione in stagione.»

La natura contraddittoria, nelle sue molteplici sfumature, è anche al centro delle vostre liriche. Vi è una sorta di indole all’isolamento in questo?

«Più che isolati dal mondo, direi selvatici. Per noi Füsch la potenza del paesaggio è il fulcro di tutto, una tematica più volte ripresa all’interno dei nostri brani. Facendo un esempio pratico citando due pezzi ai quali siamo, a dir poco, affezionati, la nostra “Sarà” è un grido angosciato del creato divino contro i soprusi arrecatigli da un’umanità incosciente, mentre “Stelle” è un ricongiungersi con un Universo che appare ancor più immenso di fronte a queste nostre scelleratezze.»

Vincenzo Nicoletti

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