Pubblicità ingannevole e greenwashing, la marcia indietro di ENI
Fonte: Sbilanciamoci!

Il 15 gennaio 2020 L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha condannato l’azienda ENI gas e luce al pagamento di una multa di 5 milioni di euro dopo aver giudicato lo spot “ENIdiesel+”, presente nella nostra quotidianità dal 2016 al 2019, come pubblicità ingannevole e tentativo di greenwashing.

Nello spot, ENIdiesel+ viene venduto come carburante che rispetta l’ambiente grazie al 15% di componente rinnovabile e una diminuzione del 40% delle emissioni gassose. Digitando “ENIdiesel+” su Youtube compaiono solamente cinque video: il primo è lo spot in questione, il secondo contiene le dichiarazioni di uno dei membri di dell’Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale (AICA) che informa della sanzione “inflitta” a ENI. Gli altri tre sono sugli inganni delle pubblicità di altri prodotti.
Ripetendo l’operazione sulla pagina ufficiale di Youtube di ENI, invece, non compare nessun risultato. ENI si è dunque mobilitata per eliminare lo spot rispettando la sentenza che le vietava di continuare a utilizzare la pubblicità ingannevole, come riportato dall’Autorità garante.

«Vuoi che la tua auto duri di più e inquini meno? Anche il team di sviluppo ENI». Nello spot una macchina sportiva corre nel buio e una bugia che sfreccia ancora più velocemente. La frase incriminata, la pubblicità ingannevole è presente nei primi cinque secondi di uno spot di trenta: tutta la sua grande menzogna è consumata quando ci si è a malapena accorti di cosa si parli. É la pubblicità, il suo scopo. É l’illusionismo che solo un grande brand può permettersi: non tanto promuovere un prodotto, quanto l’immagine di sé.

Questa è l’era del greenwashing, della pubblicità ingannevole: ripulire l’immagine della propria multinazionale, pitturarla in verde ma per gioco, per seguire la moda e non perdere fette di mercato. Continuare a scandire i tempi e i modi delle vite dei consumatori indicando loro ciò di cui hanno bisogno: in questo caso, meno senso di colpa dentro allo stesso numero di litri di carburante per la propria auto.

La multa di 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole è frutto di una campagna condotta da Legambiente, dal Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment (T&E) per «pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo», si legge sempre sul sito di Legambiente.

Stando a quanto scritto sul sito di T&E, ENIDiesel+ è un nuovo carburante diesel composto per il 15% da Hydrotreated Vegetable Oil (HVO), ricavabile dall’olio di palma e dai suoi derivati. Per i giudici un prodotto che si serve di queste componenti è tutto fuorché “green”, oltre al fatto che, si legge nella nota, «non è dimostrato in alcun modo che le emissioni gassose si possano ridurre del 40% con il carburante in questione». Lo spot è passato in tv, sui giornali, sul web per quasi 4 anni. La lunga vita del greenwashing.

Rovistando bene tra le carabattole di casa nostra, scopriamo che l’Italia, oggi, è sul podio dei più grandi produttori di biodiesel da olio di palma tra i Paesi dell’Unione Europea, usando un olio di palma proveniente principalmente da Indonesia e Malesia, luoghi che pagano il prezzo di un’importante deforestazione dei propri territori per l’estrazione di tale risorsa. Uno studio della Commissione europea ha stabilito che il biodiesel da olio di palma è tre volte più dannoso per l’ambiente rispetto al diesel normale e il 13 marzo del 2019 la Commissione stessa ha trascritto su un documento ufficiale l’impegno dell’Ue di diminuire il consumo di olio di palma – prodotto non sostenibile a causa delle deforestazioni necessarie per estrarlo – a partire dal 2023 per portarlo a zero nel 2030.  
Se però consideriamo che a oggi l’Unione europea è il secondo importatore di olio di palma al mondo viene da chiedersi: il greenwashing, la pubblicità ingannevole in ambito di tutela ambientale, vale anche per la politica?  

Il 14 maggio scorso ENI, la multinazionale fondata da Enrico Mattei, ha promesso che smetterà di utilizzare olio di palma e derivati a partire dal 2023. Affinché tutto questo si avveri c’è bisogno di un serio intervento della politica italiana volto ad affrontare in maniera concreta le problematiche che rendono il nostro futuro non sostenibile.

Le sovvenzioni per l’estrazione di olio di palma devono finire, come deve finire anche l’uso dell’olio di soia come alternativa. Anche quest’ultimo è causa di problemi: basti pensare che l’Argentina è sul podio dei produttori e degli esportatori mondiali di soia, ma non consuma soia. Il Paese sudamericano, che in questi giorni è vicina al suo nono default, coltiva 50 milioni di tonnellate di soia l’anno su terreni che invece potrebbero essere destinati ad altre coltivazioni utili al soddisfacimento dei bisogni del popolo argentino.

Se a noi è concesso, a qualcun altro viene tolto: ma noi non dobbiamo curarcene dato che non c’è alternativa, dato che nulla potrà cambiare il nostro stile di vita, dato che «il capitalismo è come un aereo: se si ferma, cade». Per questo cerca sempre il vento giusto per restare in aria e guardarci dall’alto: oggi con la pubblicità ingannevole (come sempre) ma verde, il greenwashing. Volare, però, è volare: è stare lontani dalle vicende degli uomini e delle donne che popolano il mondo.

Giovanni Esperti

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