Cari lettori, anzi, car* compagn*, qui o si fa la Sinistra o si muore. Quindi, iniziate a spolverare i loculi.

Proprio in queste ore, mentre giunge a conclusione il congresso fondativo di Sinistra Italiana e l’assemblea nazionale del PD sembra sancire la rottura definitiva in seno al partito, urge accompagnare con una riflessione seria (o semi-seria, se preferite) il percorso politico che si va delineando da qui alle prossime elezioni.

La posta in palio, del resto, è di quelle grosse: dopo aver abbattuto lo spauracchio renziano, c’è un intero popolo in cerca di rappresentatività e protagonismo – per una volta almeno. Ma parlare di frammentazione invece di processi unitari, a sinistra, non è una novità; sono trent’anni che ci si ripropone lo stesso identico scenario a suon di “stavolta sarà diverso”, e l’unica certezza, nel marasma brulicante di sigle, simboli e presentazioni, rimane il buon vecchio fallimento annunciato.

Il brainch della domenicaVedete, la politica è una dimensione peculiare della realtà con leggi tutte sue e dinamiche talmente complesse da illustrare, che mi limiterò a sintetizzarle con “chi possiede il denaro, ottiene il potere; chi esercita il potere, dispone del denaro”.

Le idee invece, particelle misteriose di cui si narra debba in qualche modo essere composto l’universo politico, una sorta di materioscura della civiltà, finiscono solitamente inghiottite in buchi neri di arrivismo, e restano un puro enunciato teorico senza che nessuno le abbia mai veramente sperimentate.

Ciò non fa difetto ai politici italiani, così ligi alla loro coerenza da sbandierare cambiamenti di rotta a naufragio ormai compiuto, e così probi del loro spessore etico e morale da spergiurare impegno e dedizione ad una causa persa già da tempo.

Veniamo allora a noi, all’ala mancina dello schieramento intensamente sollecitata da giornali, televisioni e siti web e ignorata dal mondo reale.

Anzitutto, escludiamo dal ragionamento la minoranza dem, perché mai e poi mai potrà considerarsi di sinistra, né di centro-sinistra, gente che è stata assieme a Renzi e l’ha sostenuto nelle immonde porcate del suo Governo.

C’è dunque Sinistra Italiana, l’ennesimo aborto prematuro di una forzatura unitaria, che pretende di (ri)partire dal basso ma è trascinata invece da un ceto dirigente già logoro e privo di credibilità. Gli amici di SI, fra cui pure tanti stimo ed apprezzo sinceramente, sono riusciti nell’inenarrabile impresa di spaccarsi ancor prima di nascere, con le note vicende che hanno portato al ritiro della candidatura di Scotto e l’alleanza col PD (ancora?) come elemento di ambiguità genetico.

Ambiguità che non sembra invece appartenere a Possibile di Pippo Civati: lui dal PD è uscito in modo brusco e non intende più averci a che fare. Giustissimo. Ma la debolezza di Possibile è insita nell’incapacità di lanciare una proposta chiara e condivisibile, un vago progetto di fondo, insomma, qualsiasi cosa: niente di niente; tant’è che alcune pecorelle smarrite sono già tornate all’ovile renziano.

Perfino in Rifondazione Comunista, pensate, c’è stata aria di spaccatura: pare che gli elettroni non andassero molto d’accordo coi neutroni.

La vera novità, al momento, sembrerebbe essere DemA, da poco costituita come partito ad ogni effetto con tanto di segreteria. C’è comunque, e sarebbe ipocrita negarlo, un velato affanno negli ambienti vicini a De Magistris, derivante dalla scelta di imbarcare un po’ chiunque pur di raccattare consenso, sia a Napoli che nei territori dove il radicamento è appena agli inizi. Concediamo il beneficio del dubbio, ma se le premesse sono queste, le conseguenze non tarderanno a palesarsi.

E il resto? Il resto vede il rinato PCI, erede del solo unico e glorioso partito di sinistra che l’Italia abbia mai visto, ridotto ad una marginalità ininfluente, oltre a una miriade di corpuscoli microscopici e una pletora di movimenti, collettivi e laboratori ideologicamente fermi a un paio di secoli fa e che, pur impegnandosi in maniera concreta nelle loro città (a differenza dei partiti, che di concreto non fanno veramente nulla), risultano del tutto avulsi dalla realtà e da un popolo a cui vorrebbero attribuire il potere a patto che ne riconosca la loro superiorità morale ed indiscutibile verità dottrinale. E il popolo, che ha fame di pane e non di nozionismo ottocentesco, il più delle volte li commisera con una pacca sulla spalla e va a votare per il Movimento 5 Stelle.

Insomma, difficile oggi essere di sinistra. Ma per fortuna ho la soluzione definitiva: candidare Bello Figo. È senz’altro lui l’uomo giusto, l’unico da parecchi decenni a questa parte ad essere riuscito a metter paura alle destre e ad aver mostrato un’intelligenza talmente sopraffina da essere facilmente scambiata per stupidità, oltre ad una dose di swag che attira le masse e atterrisce i poteri forti. Insomma, tutto ciò di cui un vero leader ha bisogno.

Neppure Stalin incuteva tanto timore ai fascisti

Io ci sto, io ci credo. Con Bello Figo possiamo veramente incamminarci verso il Sol dell’Avvenire. Quindi, compagn*, armiamoci di waifai e scatolette di tonno: per fare la rivoluzione no si paga afito.

Buona domenica.

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli

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