Almeno dalla campagna referendaria conclusasi il 4 dicembre 2016, che ha rappresentato l’inizio della débâcle politica di Matteo Renzi, i media hanno iniziato a utilizzare compulsivamente termini che non erano mai entrati spesso nelle case degli italiani: governabilità, instabilità politica, il rischio di rimanere senza governo. Spauracchi apocalittici che potrebbero effettivamente avverarsi nelle prossime settimane, a partire dal 23 marzo, quando si insedieranno le Camere.

Ma l’instabilità, un’Italia senza governo, è davvero un pericolo politico così drammatico?

All’alba del 5 marzo, con i risultati delle elezioni politiche che assumono tratti definiti, appare evidente ciò che era chiaro agli addetti ai lavori da mesi: nessuna forza politica è in grado di ottenere una maggioranza autonoma in nessuna delle due Camere e l’incubo dell’instabilità politica, di un’Italia senza governo, aleggia sulla Penisola.

Il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi si presenta di fronte alle telecamere dopo la batosta elettorale, annuncia le sue dimissioni e accusa un po’ tutti: Mattarella per non aver concesso il voto nel 2017, il PD stesso, incapace di comunicare adeguatamente il proprio programma elettorale, ma soprattutto gli italiani, ché se il SÌ avesse trionfato al referendum costituzionale l’Italia non sarebbe ora in preda all’ingovernabilità, senza governo.

Nel maggio del 2015, mentre l’allora Governo Renzi era all’opera per progettare e mettere in atto l’ormai nota riforma costituzionale, Luigi Guiso, economista e firma illustre del Sole 24 Ore, sciorinava dati su dati: «Dei tanti primati (parecchi negativi) l’Italia ne detiene uno chiarissimo: è il paese con il maggior numero di crisi di governo (cambi di maggioranza, del primo ministro o di ministri chiave). Dal 1970 ne conta in media 1.2 all’anno». E ancora, sempre dallo stesso articolo del 3 maggio: «La gravità dei problemi di oggi è figlia della passata instabilità».

Il timore di Guiso – un’Italia senza governo o in costante mutamento politico – sebbene sia evaporato dalla scena mediatica durante la Presidenza di Paolo Gentiloni, è tornato in auge al termine di questa campagna elettorale. A farsene portavoce è stato un altro noto economista: Mario Draghi, numero uno della Banca Centrale Europea. Secondo il Presidente l’instabilità politica di un’Italia senza governo porterebbe con sé una lunga serie di rischi drammatici per l’economia del Paese: inflazione in aumento, decrescita del PIL e timore per l’antieuropeismo dei principali partiti che determineranno la nascita di un governo, Movimento Cinque Stelle e Lega.

Seppur in modo più diplomatico del collega, Mario Draghi esprime oggi le stesse perplessità di Luigi Guiso a quasi tre anni di distanza, le stesse preoccupazioni che vedrebbero l’Italia a un passo dal baratro, politico ed economico. Ma è davvero così? O nell’instabilità politica ci sono anche note positive? La storia italiana e le più recenti vicende europee sono teatro di dinamiche ed eventi che mettono in discussione la solida opinione degli economisti.

Un punto di vista diverso

All’indomani del ’68, dell’autunno caldo, nel permanere di una situazione di elevata conflittualità politico-sociale, le due Camere vennero elette con un sistema proporzionale puro (o quasi, per il Senato), senza che nessun partito fosse riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi.

In un periodo di grave instabilità politica, di un susseguirsi di governi poco duraturi (dal Rumor I al Rumor III, al Governo Colombo che arriverà al 1972) fu approvata ed entrò in vigore una lunga serie di provvedimenti fondamentali per l’Italia progressista, come la conosciamo oggi: lo Statuto dei Lavoratori, la legge sul divorzio, sugli asili nido e sulla scuola elementare a tempo pieno, un nuovo ordinamento penitenziario, la legge sulla protezione delle madri lavoratrici e quella sulla custodia cautelare. Solo per citarne alcuni.

Nella più recente storia europea i protagonisti di una “vita senza governo” sono più illustri di quello che si potrebbe credere.

Belgio

Tra il 2010 e il 2011 fu la volta del Belgio, quando per 540 giorni (ben più di un anno) il Paese rimase in una fase di stallo governativo. Una crisi di governo dovuta al risultato stupefacente del partito separatista della N-VA, che tenne sotto scacco re Alberto II con pressanti richieste di maggiore autonomia fiamminga, impedendo la riuscita di mediazioni e consultazioni.

La condizione di instabilità politica, che si risolse il 5 dicembre 2011 grazie ad un accordo dei socialisti di Elio Di Rupo con partiti più piccoli, fu gestita dal primo ministro uscente (nel nostro caso sarebbe Paolo Gentiloni) Yves Leterme e il Paese rimase in carreggiata: spesa pubblica invariata, qualche intervento straordinario in ambito europeo e internazionale (il caso Gheddafi), ma allo stesso tempo la paralisi delle riforme del lavoro di cui il Belgio aveva bisogno.

Spagna

Tra 2015 e 2016 toccò alla Spagna, che per 314 giorni rimase senza governo. Una situazione molto simile a quella italiana del 2013, quando nessuno aveva la maggioranza che avrebbe permesso la creazione di un governo stabile, e solamente l’alleanza – ad ora mai realizzata – tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle avrebbe garantito i seggi necessari.

In Spagna i Socialisti di Pedro Sanchez rifiutarono di sostenere il Partito Popolare di Mariano Rajoy e non riuscirono ad accordarsi con il neonato Podemos: dopo due tentativi falliti di fiducia parlamentare il Paese tornò alle urne.

In questa seconda circostanza Rajoy, forte dell’aumento considerevole dei suoi voti, ripropose l’eventualità di una larga coalizione con i Socialisti che inizialmente rifiutarono, ma dopo aver rimosso Sanchez dalla guida del partito si astennero al voto di fiducia, dando finalmente vita ad un cosiddetto governo di minoranza, con supporto esterno a seconda dei provvedimenti da portare avanti.

Se la pentola a pressione spagnola è tuttavia pronta ad esplodere nuovamente, qualora Rajoy non riuscisse ad approvare la legge di Bilancio si tornerà al voto, allo stesso tempo in questo periodo di instabilità politica la disoccupazione spagnola era calata al 18,9% (il minimo da sei anni) e il PIL cresciuto del 3,2% alla fine del 2016 (tra i migliori d’Europa).

Germania

Infine, la Germania, dove finalmente dopo mesi di estenuanti consultazioni l’SPD, crollato in modo piuttosto simile al Partito Democratico, ha deciso di sostenere un governo di ampio respiro con i conservatori guidati dalla sempiterna Angela Merkel. Durante questo periodo di instabilità ha destato stupore la tranquillità dei mercati europei, che sono sembrati sempre più abituati a dinamiche nazionali titubanti.

Dunque, che prospettive possono esserci per l’Italia che verrà dopo il 23 marzo?

Andrea Massera

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