Febbraio ha lo sguardo canuto dell’inverno agli ultimi sospiri; ricordi di neve liquefatti nelle iridi rattrappite del cielo, nell’azzurro esile dei rami nudi, nelle code di nebbia che fuggono via dagli angoli sghembi d’orizzonte. È una pace tumulata sotto le ceneri ancora calde di camino: braci di natura morta che rivive nei lamentosi ululati del vento. Già cova sotto la terra un anelito soffuso, un’ansia che germoglia e riprende fiato, come una domenica insonnolita troppo stanca per richiuder gli occhi.

Cari lettori, bentornati su queste pagine di cristalli liquidi a spalancare le pupille e, mi auguro, la mente.

Brainch
Autrice: Laura Arena

Sembra insomma che dagli stipiti di quest’inverno dal sapore antico si affacci prepotente un’inquietudine nuova, il terrore del terrorismo, che sotto l’egida di una bandiera nera giura sgomento e distruzione all’Occidente, barbaro e infedele.

L’ISIS è il volto nuovo del conflitto globale, ed appare ben diverso da quello qaedista di inizio millennio: laddove Bin Laden e soci si nascondevano in grotte ed asperità naturali, i miliziani dell’ISIS si prodigano di sfidare apertamente la civiltà precostituita. Conquistando, saccheggiando, decapitando.

“Stiamo arrivando a Roma”, è la loro promessa più recente, spergiurata attraverso un profilo twitter. Dopo aver devastato il già fragile equilibrio geopolitico in Medio Oriente ed in Nord Africa, i fondamentalisti potrebbero dunque cambiare obiettivo ed incunearsi in territorio europeo: Renzi probabilmente già pensa alle larghe intese.

Improbabile, tuttavia, che in Italia si ripresentino le macabre scenografie di morte trasmesse in mondovisione con delicato senso dell’orrido nelle scorse settimane: rapimenti, decapitazioni e clangore di sciabole sono in effetti difficili da immaginare nel contesto urbano delle nostre metropoli; tuttavia la tensione è altissima, com’è naturale che sia, e la minaccia è tutt’altro che da sottovalutare, nel suo pericolo più immediato, come nelle conseguenze di più lontana derivazione.

In molti, ad onor del vero, si erano prodigati di preannunciarlo, senza tuttavia ricevere ascolto. La politica colonialista e guerrafondaia mai interrotta non poteva che generare abomini di tal stampo, come aborti di un’umanità sospinta nel baratro nero della vendetta.

A far paura, lo ammetto, non è tanto la cavalcata di guerriglieri pronti a sgozzarci per ripulire le soglie di un paradiso requisito, quanto l’inculcarsi sempre più aguzzo e quasi genetico di una mentalità di odio reciproco e perversa faida a tutto spiano, nella quale la religione ha un ruolo meramente simbolico, residuale.

L’odio è senza pretesa di smentita la vera colonna portante della società moderna, le fondamenta emotive che nel rancore e nella sopraffazione intingono il sangue di una ragion d’essere votata alla guerra, alla lotta, all’eliminazione.

Il diverso è automaticamente un nemico: accade in politica, in cultura, in fede religiosa, in economia, in sport. Tra lavoratori, tra generazioni. E per un motivo ben preciso: l’odio si autoalimenta senza sosta, anzi tracima e trabocca al suo sopirsi, senza affievolire mai. L’odio è una fonte di energia inesauribile, poco costosa ed estremamente profittevole per i potentati globali che attraverso le armi, il petrolio e il consenso elettorale tessono le fila di un circolo vizioso che inaridisce i molti per foraggiare i pochi.

Niente complottismi, per carità: si tratta di ragionevole buonsenso. La cultura dell’odio è un linguaggio universale che ben parlano i fanatici schizoidi e gli accumulatori di potere, trovando in ciò il loro fulcro sinergico e il reciproco guadagno. Odio, odio senza tema, l’odio per l’odio attraverso l’odio. Sembra quasi una dissertazione filosofica, eppure non è null’altro se non la condizione esistenziale che vincola respiri e battiti in un comune sentire.

A ciò si aggiunge l’ipocrisia codificata che crea bandiere da difendere e fornisce, in questo modo, scuse e giustificazioni. Prima gli italiani, prima i cristiani, prima gli eterosessuali, prima i giovani, le donne e i bambini. Non so cosa accada nel resto del mondo, racconto la mia realtà provinciale e un po’ banalotta di città che proclama un’emancipazione intellettuale che in realtà teme più di ogni altra cosa; tuttavia non credo ci si discosti di molto, dacché la saggezza popolare suggerisce che “tutto il mondo è paese”.

Le bandiere servono soltanto a coprirsi gli occhi. L’odio non conosce bandiere, né riconosce identità; l’odio è cieco, colpisce chiunque, e anzi si accanisce con sadica ferocia sui cosiddetti “simili” nascondendosi dietro una falsa educazione. Chi mi spaventa non è quindi l’ISIS, se permettete, semmai coloro che, in nome e per conto di chissà quale fine superiore ed escatologico, impregnano ogni istante della loro vita a professare odio, rabbia, rancore, invidia, prevaricazione, ansia, violenza, ira, prepotenza.

Puffo Brontolone - Io odioL’elenco è lungo. E per quanto possa apparire distante dalle nostre comode dimensioni di civiltà avanzata, è già dentro noi, insito nei geni di una democrazia posticcia su cui si fonda la più grande dittatura della storia: quella dell’odio.

Il consiglio che mi sento quindi in animo di dedicarvi, lettori cari, è di lasciar perdere frasette di circostanza e nauseabondi rigurgiti di buonismo: abbiate, piuttosto, a cuore di non diventare schiavi dell’odio come la maggior parte di noi è già, nell’incoscienza catatonica della miseria quotidiana, nel moralismo frivolo da salottino televisivo che per molti rappresenta il solo schermo attraverso cui interpretare la vita.

Del resto, così come la fede unisce i popoli mentre la religione li divide, allo stesso modo l’odio tesse e disfa le sottili trame del tempo; e molti di noi nascono e muoiono in tal guisa, non conoscendo altro che un ininterrotto, umiliante disprezzo verso sé stessi, troppo cauterizzante per essere contenuto in un sol corpo, troppo mortificante per rimanere al cappio di una sola anima.

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
ilbrainch@liberopensiero.eu

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