Italia in prima linea, poi Spagna, Grecia, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria e Polonia: dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, otto si trovano in una condizione tecnica di deflazione. Quasi un terzo del totale. E non è affatto una buona notizia.

La deflazione è caratterizzata, come risaputo, da una persistenza di calo dei prezzi che innesca un circolo vizioso di riduzione dei consumi, incremento degli stock di merci in magazzino per le aziende ed ulteriore calo dei prezzi. A differenza dell’inflazione, non è altrettanto semplice per le Banche Centrali tenerla sotto controllo attraverso le politiche monetarie convenzionali. Se ne sono accorti per primi in Giappone, dove il premier Abe ha dato il via ad un massiccio piano di stimoli rinominato “Abenomics”; quindi negli USA, dove la Federal Reserve ha messo in atto un piano di acquisti di titoli statali per 85 miliardi di dollari al mese, che sarebbe dovuto terminare ad ottobre e invece è ancora in attività.

In ritardo, se n’è resa conto anche l’Unione Europea, dove l’azzeramento dei tassi di interesse non ha minimamente scalfito la deflazione, e i mercati continuano a pressare per l’attuazione immediata di un piano omologo a quello utilizzato oltreoceano. Ad ulteriore conferma di questa necessità, arriva oggi un report economico di Standard&Poor’s che sottolinea “il rischio di una viziosa spirale deflazionistica” in Europa, che “potrebbe entrare in una fase persistente di crescita debole a causa del calo della leva finanziaria e dell’economia globale che rallenta”.

Ma i rigoristi tedeschi continuano a fare spallucce, sebbene la loro stessa economia sia ormai messa a rischio dal perdurare della stagnazione economica nel continente. E il quantitative easing annunciato dal presidente BCE Mario Draghi resta, per il momento, una semplice buona intenzione sulla carta. Il timore, in realtà, è che la combinazione letale di deflazione, bassa crescita e accumulo di debito pubblico possa spingere le varie Banche Centrali a condurre una vera e propria guerra delle valute, giocando le proprie carte attraverso la svalutazione della moneta anziché su politiche macroeconomiche di stimolo alla crescita.

Una condizione, quella di deflazione, che gli ultimi dati registrano ormai comune anche a Svizzera, Svezia, Danimarca ed Israele: un malessere diffuso, che le banche stanno provando a curare con la medicina sbagliata.

Emanuele Tanzilli

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