Sydney, 26 Gennaio 2016

Australia Day. Invasion Day. Survival Day. Se vivete, o avete vissuto, in Australia, almeno una tra queste espressioni vi sarà familiare in relazione alla data di oggi. Introdurre brevemente ciò che è, senza mezzi termini, una delle più spinose questioni nel panorama discretamente vasto del dibattito politico australiano è indubbiamente ostico; data la natura estremamente vasta del problema, con tutte le implicazioni di carattere sociale, politico, antropologico e legale che esso comporta, un conciso excursus storico è quanto di più umilmente utile possa esserci per illustrare un abbozzo della faccenda.
Il 26 gennaio di ogni anno si celebra l’Australia Day, la festa nazionale ufficiale del paese, che commemora lo sbarco della Prima Flotta capitanata da Arthur Phillip, il quale prese ufficialmente in gestione la colonia del New South Wales il 26 gennaio del 1788. La storia dell’Australia britannica, però, ha inizio il 29 aprile 1770, quando il tenente di marina James Cook, a bordo della HMS Endevour, attracca a Botany Bay (immediatamente a sud dell’attuale distretto finanziario di Sydney), reclamando per conto della Gran Bretagna buona parte della costa orientale al fine di impiantarvi colonie penali. Tra i due sopramenzionati eventi, il primo è quello che ha avuto un decisivo impatto storico segnando, di fatto, l’inizio della colonizzazione del continente. Nel corso dei diciotto anni che separano le due date l’Impero Britannico aveva subito l’ingente perdita delle Tredici Colonie nordamericane, resesi indipendenti tra il 1775 e il 1783: la necessità di nuove terre che rifocillassero le ambizioni inglesi nel testa a testa coloniale con francesi e spagnoli fu, di fatto, ciò che consegnò il destino dell’Australia nelle mani della Corona.

Non è difficile comprendere da dove nascano la conflittualità e le critiche rivolte all’Australia Day: il 26 gennaio 1788 ebbe inizio lo sterminio della cultura aborigena, la spoliazione sistematica delle terre, la perdita di sovranità, il confinamento nelle riserve, fino ad arrivare alla separazione forzata dei bambini indigeni dalle famiglie e il loro trasferimento nelle missioni cristiane disseminate in tutto il paese.

Oggi, nel 2016, gli Aborigeni e gli Isolani dello Stretto di Torres (le due maggiori etnie che compongono le popolazioni delle First Nations) vivono ancora tremendamente segnati da tutto ciò che dall’invasione scaturì, ma non è questo il perno di questa digressione. Piuttosto, il cuore della controversia risponde alla domanda “perché festeggiare proprio oggi?”.

Il dibattito intorno all’Australia Day riguarda principalmente la scelta della data, e in quest’ottica esistono una serie di questioni di accuratezza storica che esulano dalla lotta per la giustizia sociale in sé. Il 26 gennaio 1788 è il giorno in cui il capitano Phillip fu nominato governatore e ben poco, quasi nulla, ha a che vedere con l’Australia come oggi la conosciamo: l’attuale stato dell’Australia Occidentale mantenne il nome di Nuova Olanda fino agli anni ’30 dell’Ottocento e gli inglesi non vi arrivarono prima del 1791, la Tasmania non fu colonia britannica prima del 1803, e il nome ufficiale della maggioranza delle terre orientali rimase New South Wales per svariati decenni.

Da anni, diverse date “alternative” di rilevanza storica sono state individuate come papabili per sostituire l’attuale Australia Day, giorno in cui ci sarebbe tanto da commemorare e ben poco da festeggiare: il 25 gennaio (l’ultimo giorno dell’Australia come terra esclusivamente posseduta dai suoi nativi), il 25 aprile (Anzac Day, celebrativo delle forze armate di Australia e Nuova Zelanda), 9 maggio (apertura del primo parlamento federale) e, soprattutto, l’1 gennaio (1901), giorno in cui tutte le colonie divennero una federazione indipendente dando ufficialmente vita al Commonwealth of Australia.

Tanto gli australiani aborigeni quanto quelli di altra estrazione che percepiscono l’entità del dramma che gli indigeni hanno vissuto e per molti versi ancora vivono, hanno coniato altri termini per riferirsi all’Australia Day. Il più utilizzato è Invasion Day, che campeggia su pressoché ogni cartello o striscione nelle annuali contromanifestazioni in ogni grande città australiana e che ha un carattere aspramente critico e polemico, mentre da diversi anni è entrata nell’uso comune anche la dicitura “Survival Day”, dai toni maggiormente riconciliativi, che pone l’accento sul fatto che le popolazioni indigene e la loro cultura siano sopravvissute allo sterminio.

Di seguito sono riportate alcune foto del corteo organizzato dall’Indigenous Social Justice Association di Sydney, partito da Redfern, sobborgo ad alta concentrazione di famiglie aborigene divenuto famoso per le opere di edilizia popolare e per le sommosse del 2004 verificatesi in seguito all’uccisione del diciassettenne aborigeno Thomas Hickey da parte della polizia locale.

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Cristiano Capuano

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