Home Esteri Europa Brexit: l’art. 50 TUE e lo specchio di un’Europa che scricchiola

Brexit: l’art. 50 TUE e lo specchio di un’Europa che scricchiola

I Brexiter hanno vinto e il risultato della paradossale democrazia partecipativa ha scelto anche per i Bremainer. La vittoria del Brexit innescherà un processo formale di uscita dall’Unione Europea ricorrendo per la prima volta all’art.50 TUE.

Dopo aver annunciato le sue dimissioni entro ottobre, David Cameron  ha affermato che non sarà lui ad invocare la rinegoziazione, ma lascia questa decisione al probabile e temuto futuro primo ministro, scelto dai Tories, che condurrà il paese verso l’uscita (sarà Boris Johnson?). Il referendum consultivo, il cui esito non ha solerte effetto legale,  è solo l’inizio di una complessa rinegoziazione. Inoltre, l’incerto avvenire della Scozia lascia un punto interrogativo poiché insieme all’Irlanda del Nord e alla piccola Gibilterra ha votato per il Remain. Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato la nascita di un secondo referendum di secessione dall’Inghilterra ed un futuro insieme all’Unione Europea.

L’iter sarà lungo e tortuoso dal momento che prenderà due direzioni: l’UE che per la prima volta deve organizzare l’exit di uno dei suoi Stati Membri e l’UK che deve rivedere le future relazioni con il blocco europeo.

La clausola di recesso: Eurexit. Cosa sta accadendo all’UE?

Alla base della nascita del Trattato di Lisbona, ratificato il 13 dicembre 2007, vi si ponevano due obiettivi fondamentali: migliorare l’efficacia del processo decisionale dell’Unione Europea e incrementare la democraticità di un processo di integrazione in grado di porre l’UE come una forza vincente nell’affrontare le diverse sfide globali. Una delle novità del Trattato fu la  clausola di recesso all’art. 50 del trattato sull’Unione Europea che per la prima volta prevede la possibilità per gli Stati Membri di poter recedere dall’Organizzazione non escludendo un’eventuale riadesione  in tal caso lo Stato sarebbe soggetto allo stesso iter procedurale di un paese candidato.

Prima della sua entrata in vigore, la possibilità di unuscita si divideva in due filoni: il “surrealismo” di una secessione europea e l’appello alle norme del diritto internazionale, in particolare nella formulazione dell’art. 62 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, la quale prevede che uno Stato può recedere da un’organizzazione internazionale per «un mutamento fondamentale delle circostanze». Con l’art.50 TUE, invece, si procedimentalizza il cosiddetto Eurexit, un diritto che spetta ad ogni Stato Membro in base alle proprie disposizioni costituzionali.

L’uscita del Regno Unito darà inizio ad un accordo che sarà concluso dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata (il 72% dei membri dei Paesi membri rappresentante il 65% della popolazione europea), previa approvazione del Parlamento europeo. In questa circostanza è ovviamente previsto che i membri dello Stato uscente non partecipino alle negoziazioni. Una dura vittoria, quella del Brexit, che porterà l’Inghilterra a rinegoziare circa 80 mila pagine di accordi.

Last but not least, l’art. 50 non prevede solo un mero accordo di recesso, ma sottolinea di tenere in considerazione il quadro delle future relazioni tra lo Stato uscente e l’Unione (l’uscita deve essere pacifica e cooperativa).

Questo è il culmine, ed anche l’inizio, di un processo iniziato qualche anno fa che ha gettato l’UE in un mare di turbolenti avvenimenti interni agli Stati e nello stesso tempo ha bloccato il processo ed il rilancio delle politiche europee, perdendo credibilità e frenando il rilancio all’allargamento. In particolare, la crisi economica ha scatenato una serie di risposte a catena, a partire da un sentimento euroscettico arringato da insane opposizioni identitarie e strumentali.
Tuttavia, le conseguenze del Brexit ci sono e vanno prese in delicata considerazione: le imprese inglesi potrebbero perdere la possibilità di accedere liberamente al mercato europeo, così come cadrebbe la libera circolazione di beni e servizi; i cittadini dello Stato uscente perderanno la cittadinanza europea e di conseguenza i cittadini europei saranno vincolati ad una serie di restrizioni alla libera circolazione in territorio inglese. Quest’ultimo limite è stato tanto agognato dal partito di estrema destra di Nigel Farange, l’UKIP (UK Indipendence Party), fondato col principale obiettivo di opporsi al Trattato di Maastricht, in particolare alla libera circolazione dei cittadini dell’UE, e che ha difeso a denti stretti il Brexit con le seguenti contraddizioni emerse post-referendum. D’altro canto, per l’UE le conseguenze potrebbero essere meno negative poiché l’Inghilterra dalla sua entrata nel 1973 si è posta sempre come un disincentivo a molte politiche progressive ma, al contempo, rappresenta un perno del continente europeo e potrebbe innescare una reazione implosiva e frammentaria (asse LePen-Salvini-Wilders).

Il 28 giugno il presidente del Parlamento europeo, Martin Schultz, ha indetto una plenaria del PE in sessione straordinaria per una risoluzione agli accordi che susseguiranno nei prossimi mesi.

Il Brexit è una doccia fredda per l’Unione europea ma, parallelamente all’iter previsto dall’art. 50, sarebbe importante che i leaders europei rivedano una politica più coesa, progressiva, trasparente, non austera e che punti sugli obiettivi politici di spazio di libertà, sicurezza e giustizia, di tutela dei diritti e di coesione non solo economica, ma soprattutto sociale e territoriale. Ciononostante, la vera differenza può farla solo la volontà di ciascun Stato membro, non dimenticando il protagonista di questa storica vicenda, ossia il popolo britannico.

Annalisa Salvati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.