Cos’è Maniac? Che abbiate avuto o meno il piacere di prendere visione della mini-serie targata Netflix, vi sarà senz’altro capitato di porvi questa domanda. Del resto è stata la serie TV “sulla bocca di tutti” per diverse settimane dalla sua uscita. Il motivo di tanto successo, forse anche abbastanza inaspettato, è proprio questo: rispondere a questa domanda è dannatamente difficile, ma dannatamente intrigante. Ci siamo presi un po’ di tempo per rifletterci, e proveremo a dare una risposta.

Le menti e i volti della produzione Netflix

Partiamo dalle certezze, l’unica ciambella di salvataggio che possiamo lanciarvi in questo mare magno di psichedelici capricci audiovisivi, le menti e i volti che hanno reso “Maniac” possibile. I valori produttivi dell’esperimento Netflix sono di altissima levatura: alla regia c’è il brillante Cary Joji Fukunaga (“True Detective”), alla sceneggiatura quel Patrick Somerville che ha contribuito alla scrittura dello splendido “The Leftovers” (era quindi più che lecito aspettarsi qualcosa di decisamente “estroso”), e sullo schermo compaiono due interpreti hollywoodiani di sicuro valore come Emma Stone (la star di “La La Land”) e Jonah Hill (il braccio destro di DiCaprio in “The Wolf of Wall Street”), oltre che al navigatissimo (ed eccezionale) Justin Theroux.

Dal punto di vista puramente sinottico racconta la storia di Owen Milgrim, rampollo (quasi) ripudiato di una ricchissima famiglia newyorkese, disadattato e affetto da schizofrenia, allucinazioni e depressione, e di Annie Landsberg, tossicodipendente, afflitta dalla scomparsa della sorella, e a sua volta depressa e affetta da disturbo della personalità borderline. Entrambi, per motivazioni diverse, decidono di affidarsi ad una cura “alternativa”, che non prevede effetti collaterali, presso un centro farmaceutico-informatico (?!), tanto misterioso quanto bizzarro, al pari del personale e dei pazienti.

Non basta a rassicurarvi? Non possiamo fare altro. Chi ha già preso visione può comprenderci, chi non l’ha ancora fatto, si lasci andare: l’unica certezza è che vi troverete dinnanzi ad un’esperienza unica, e non solo se si considera il circuito “mainstream” di Netflix, che ha pure ultimamente ha offerto le sue sorprese.

Maniac: un inafferrabile "elogio della follia" targato Netflix

Cosa (non) è Maniac?

Eccoci, possiamo tornare al quesito principale. “Cos’è, davvero Maniac?” Se si prova a proseguire oltre la sinossi (peraltro decisamente accattivante), le cose si fanno decisamente più inconsuete: più che essere un prodotto culturale precisamente determinato, Maniac è una potente miscela di stimoli visivi, concettuali e narrativi che conquistano il gusto e attirano l’interesse del pubblico. Più che essere qualcosa, non è molte cose. Finché non arriva allo spettatore, chiaramente.

Maniac non ha un vero e proprio genere di riferimento, e nemmeno un focus preciso. Se le tematiche di partenza sono davvero lodevoli, e mettono al centro dello schermo protagonisti con patologie così poco “fotogeniche”, non si tratta di un tv drama struggente e malinconico, né sentimentale. Anzi, i momenti comici che strappano ben più di una risata, o l’ilarità, non mancano. La caratteristica prevalente della produzione, è un’equilibrata e dolce tenerezza. Una tenerezza che si legge chiaramente in tutti i rapporti umani che si presentano su schermo, dall’amore che sia tra anime affini, amanti, fratelli e sorelle, fino all’odio, che sia tra madri e figli o tra consanguinei. Non è quindi neppure un romance: nessun sentimento è esasperato, manicheo, definito fino in fondo.

Non meno difficile da interpretare è il contesto nel quale la storia è ambientata, che fonda una fantascienza quantomeno inconsueta e originale: in un’America dai caratteri retrofuturisti ispirati tanto alla coolness vaporwave quanto alle commistioni culturali euro-asiatiche di Blade Runner (gli amanti del Giappone non rimarranno delusi), dove la propria immagine può essere venduta per scopi pubblicitari, la Statua della Libertà presenta fattezze “leggermente” alterate, e un’azienda offre servizi di “amicizia” su richiesta tramite agenti specializzati. Tutto, dalla colonna sonora alle scelte cromatiche, ravviva e permea questo bizzarro futuro-passato.

Maniac: un inafferrabile "elogio della follia" targato Netflix

Le macchine e la tecnologia sono divenute parte integrante della vita dell’uomo. Ma non in modo pervasivo e avveniristico: si limitano a pulire le strade come “piccoli mangia-merda”, ad ibernare chi desidera isolarsi dal mondo esterno, ad offrire la possibilità di “stimolanti” incontri in realtà virtuale. Non manca nemmeno un’intelligenza artificiale tutta al femminile, che ascolta poesie, si innamora e, soprattutto, si arrabbia. Una distopia fantascientifica dunque? Non proprio, e comunque non è dato sapere.

Tutto questo si complica grazie all’espediente narrativo principale: gli attori protagonisti (e i loro personaggi), dando sfoggio di un poliedrico talento recitativo, si trovano a vestire i panni di diversi personaggi all’interno di simulazioni psichiatriche che generano mondi alternativi. Ognuna di queste realtà è fondato su estetiche, temi e toni completamente differenti, che rendono la natura dell’opera ancora meno classificabile, se si pensa anche all’inafferrabilità psichedelica che permea dialoghi e atmosfere sempre sopra le righe, ma allo stesso tempo, in qualche modo, semplici.

https://www.liberopensiero.eu/18/10/2018/cultura/elite-serie-netflix-televisione/

Il significato di questo intreccio, così come le tematiche che ne emergono dalle profondità, appare volutamente indeterminato: la malattia dei protagonisti e dei comprimari li rende più umani e li caratterizza, ed è sostanza, ma anche semplice contorno delle vicende narrate. Non si approfondiscono mai con nettezza questi temi, né la natura e le conseguenze del rapporto con la famiglia e gli affetti, o le sue implicazioni traumatiche, né tanto meno i temi legati alla fantascienza, o l’amore. Nessuna delle domande che ci vengono poste, trova una risposta esaustiva.

Prevale un senso di libertà e di spensieratezza, a partire dalle scelte finali di Annie ed Owen, che arrivano quasi improvvise nei brevi otto episodi. Essere sé stessi e scegliere solo ciò che ci fa stare bene, senza pensare, senza preoccuparsi, senza “curarsi”, liberi come il volo di una poiana (non un volatile a caso). La narrativa tradizionale è vista quasi come un intralcio (ed infatti è il punto debole della produzione).

Una risposta che non c’è

Maniac: un inafferrabile "elogio della follia" targato Netflix

E quindi? Cos’è Maniac? Un capolavoro? Una ciofeca? Un’opera visionaria, oppure semplicemente visiva? Semplicemente un gran casino? Forse, più di tutto, un istrionico elogio della follia, clinica, ma intesa come umanità, tra Michel Foucault e Erasmo da Rotterdam. Schizofrenico e borderline come i suoi personaggi.

Tuttavia, in realtà, non c’è una vera risposta. Sta tutta qui la sua efficacia. Il vero protagonista della fortunata serie Netflix è lo schermo stesso: più di quello che contiene, conta ciò che esso rappresenta, ossia un’interfaccia tra sé stessi e il mondo, da interpretare e fare propria. Lo schermo è come lo specchio, consente di guardarsi, e ci si vede semplicemente per quello che si è. Lo specchio siamo noi.

Maniac riesce così ad interpretare il nostro tempo, e coinvolge lo spettatore perché gli consente di “specchiarsi”, in una vita quotidiana sublimata da colori, stravaganze ed eccessi di ogni tipo. Del resto, logorati dalla frustrazione di questa incomprensibile contemporaneità, siamo tutti un po’ “Maniac”.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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