Dopo l’approvazione del disegno di legge contro la produzione di carne coltivata, il dibattito in Italia sul tema ha prodotto grande coinvolgimento dell’opinione pubblica nazionale. La rilevanza dell’argomento è stata dimostrata dall’acceso dibattito tra la Coldiretti, maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, e il partito di Più Europa, unica forza politica di opposizione, fino ad ora, a schierarsi apertamente in favore della produzione di carne a base cellulare. La maggioranza parlamentare ha motivato questo provvedimento affermando di voler proteggere gli interessi nazionali e preservare l’unicità dei prodotti alimentari Made in Italy, ma è veramente così? Abbiamo intervistato Alfonso Maria Gallo, componente della segreteria nazionale con delega all’innovazione e alla transizione digitale del partito di Più Europa, per consentire alle persone di addentrarsi nel merito della questione e comprendere esaustivamente una tematica di cui sentiremo ancora parlare in un prossimo futuro.
A cosa facciamo riferimento quando parliamo di carne sintetica o meglio di carne coltivata?
«Iniziamo chiarendo un punto: è carne coltivata! Il termine corretto è coltivata (o da coltura) perché è realizzata a partire da cellule vive che creano il tessuto muscolare in una coltura cellulare.
Sentiamo spesso chiamarla “carne sintetica”, ma è un errore perché non è un prodotto da sintesi (nonostante i progressi della scienza, non siamo ancora in grado di sintetizzare una cellula viva!). Ma allora perché sentiamo spesso questo nome? Perché le parole sono importanti e chiamarla “carne sintetica” spaventa il consumatore alimentando un sentimento di chemofobia diffuso.
Quando parliamo di carne coltivata, ci riferiamo a un tipo di carne che è prodotta in laboratorio attraverso tecniche di ingegneria tissutale. Questo processo, noto anche come coltivazione cellulare, inizia con la raccolta di cellule staminali o di altro tipo da un animale. Le cellule vengono poi nutrite e coltivate in un ambiente controllato che simula le condizioni di crescita naturale, permettendo loro di moltiplicarsi e formare tessuto muscolare, che è il componente principale della carne. La carne coltivata viene prodotta quindi in un ambiente controllato attraverso un processo di espansione e differenziazione, per formare tessuti simili alla carne convenzionale, ma senza i rischi di patogeni e contaminanti.
Siamo davanti ad una potenziale alternativa maggiormente sostenibile rispetto alla produzione di carne convenzionale, perché potrebbe ridurre l’uso di terra, acqua e risorse, diminuire l’emissione di gas serra e limitare la necessità di allevare e macellare animali. Ciò offre vantaggi in termini di benessere animale e impatto ambientale, e potrebbe anche contribuire a rispondere alle sfide della sicurezza alimentare con l’aumento della popolazione mondiale».
Quali sono le principali ragioni per cui +Europa si sta battendo per l’introduzione della carne coltivata anche in Italia?
«Non ci stiamo battendo per l’introduzione, ma contro il divieto. +Europa evidenzia che il divieto sulla carne coltivata potrebbe violare la Costituzione italiana e i trattati europei, quindi espone l’Italia al rischio di procedure di infrazione e multe. Si va infatti a limitare la libertà di iniziativa economica privata e lo sviluppo della ricerca scientifica in Italia, mentre la carne coltivata potrebbe poi essere approvata dall’Ue e quindi obbligatoriamente essere commercializzata anche in Italia, ma senza offrire per noi nuove opportunità di ricerca e sviluppo.
Insomma quello che abbiamo visto è un divieto solo contro la carne coltivata italiana, che vogliono usare per una propaganda interna a vantaggio di alcuni allevatori, ma ai danni di tanti altri italiani. Ai danni degli innovatori e di chi fa ricerca, perché oggi stiamo danneggiando solo loro. La carne coltivata è un’alternativa più sostenibile agli allevamenti intensivi, in grado di ridurre l’impatto ambientale della produzione di carne, e per questo sta ricevendo molta attenzione dalla comunità scientifica e non solo.
Ma attenzione, non è ancora detta l’ultima parola! La legge rimane in stand-by: prima della pubblicazione in Gazzetta, l’Europa deve pronunciarsi nel merito. La legge infatti dovrà essere sottoposta alla cosiddetta procedura “Tris”, quella che la Commissione e altri Paesi membri seguono per valutare le leggi che impattano sul mercato unico europeo. Quindi il provvedimento meloniano può ancora essere fermato, oppure modificato in maniera considerevole.
Crediamo che l’Italia possa diventare un leader nella produzione di carne coltivata, approfittando della sua reputazione nel settore agroalimentare, per guidare l’innovazione e creare nuovi posti di lavoro».
Con il sostegno alla produzione di carne coltivata, +Europa introduce nel proprio programma politico anche la difesa dei diritti animali?
«In +Europa il sostegno alla produzione di carne coltivata è parte di un approccio più ampio che considera non solo l’innovazione e il progresso tecnologico, ma anche il benessere degli animali e la sostenibilità ambientale. Riconosciamo che la carne coltivata ha il potenziale di ridurre significativamente la sofferenza degli animali, in quanto permette la produzione di carne senza la necessità di allevamenti intensivi e macellazione.
Tale approccio è in linea con i nostri valori fondanti, che da sempre includono la tutela dei diritti animali e la promozione di un modello di consumo più responsabile e attento all’etica (l’approccio al benessere animale portato avanti dall’Ue è pionieristico). La nostra visione per l’Italia è quella di un Paese all’avanguardia non solo nella qualità e innovazione agroalimentare, ma anche nel garantire standard elevati per il benessere animale. Attraverso il nostro sostegno alla carne coltivata, vogliamo quindi affermare il nostro impegno verso la difesa dei diritti degli animali e sostenere misure che favoriscano pratiche di produzione eticamente sostenibili a livello europeo e mondiale».
Molte associazioni di categoria sostengono che l’introduzione in Italia della carne coltivata causerebbe il licenziamento di migliaia di lavoratori del settore alimentare. Voi di +Europa come rispondete a questa asserzione?
«Comprendiamo le preoccupazioni sul futuro del lavoro nel settore alimentare tradizionale. Però riteniamo che l’innovazione rappresentata dalla carne coltivata non debba essere vista come una minaccia, ma come un’opportunità di crescita e sviluppo. Non prevediamo che la carne coltivata sostituirà completamente i metodi tradizionali di produzione alimentare, ma piuttosto che coesisterà e amplificherà la gamma di opzioni disponibili.
Ci impegniamo a supportare la transizione verso un modello di produzione più sostenibile e innovativo, fornendo al contempo le giuste condizioni per la riconversione e la formazione dei lavoratori del settore. Siamo convinti che l’Italia non debba essere sempre fanalino di coda e che invece possa innovare e generare nuove competenze, posti di lavoro e opportunità economiche.
È nostro dovere garantire che il progresso tecnologico si accompagni a politiche attive di sostegno al lavoro, per evitare un impatto negativo sulle persone impiegate nei settori tradizionali. La libertà di scelta del consumatore sarà sempre al centro della nostra agenda, assicurando che i cambiamenti nel settore alimentare avvengano in maniera equa e inclusiva».
Qualora fosse introdotta la produzione di carne coltivata in Italia, verrebbe imposta al consumatore oppure continuerebbe ad essere garantita la sua la libertà di scelta?
«Come dicevo prima, noi di +Europa crediamo fermamente nella libertà di scelta del consumatore! L’introduzione della carne coltivata in Italia, secondo la nostra visione, non sostituirebbe mai la produzione tradizionale, ma piuttosto amplierebbe le opzioni disponibili per i consumatori. Assicureremmo che il mercato rimanga libero e aperto, permettendo così ai consumatori di fare le loro scelte basate su preferenze personali, valori etici e considerazioni sulla salute».
Quella di +Europa sul tema della carne coltivata rimarrà un’iniziativa isolata, oppure cercherete di sensibilizzare anche gli altri partiti dell’opposizione per elaborare una proposta comune da presentare in Parlamento?
«La nostra posizione sulla carne coltivata non è intesa come un’iniziativa isolata. In +Europa crediamo fermamente nella collaborazione e nel dialogo tra le forze politiche per il raggiungimento di obiettivi comuni che rispecchino l’interesse nazionale e i valori europei. Pertanto, siamo aperti e proattivi nel sensibilizzare gli altri partiti sull’importanza e sui benefici della carne coltivata.
L’inizio non è dei migliori, visto come si sono comportati partiti a noi vicini su questi temi, ma l’obiettivo è elaborare una proposta trasversale che possa essere presentata in Parlamento, sottolineando l’importanza dell’innovazione, della sostenibilità, e della responsabilità etica nella produzione alimentare. Crediamo che un approccio unitario possa non solo amplificare il messaggio e la forza dell’iniziativa, ma anche accelerare il processo legislativo necessario per introdurre e regolamentare la produzione di carne coltivata in Italia, garantendo al contempo gli standard di sicurezza e qualità richiesti.
+Europa è quindi impegnata a lavorare con tutte le parti interessate per sviluppare una politica comprensiva che tenga conto delle preoccupazioni economiche, ambientali, sanitarie e etiche, al fine di promuovere una transizione equa e progressiva verso un sistema agroalimentare più avanzato e sostenibile.
Le tecniche di coltivazione cellulare, fondamentali per lo sviluppo della carne coltivata, sono state precedentemente utilizzate in medicina rigenerativa, nella ricerca e diagnostica delle malattie, nella scoperta di farmaci contro il cancro e nella produzione di anticorpi. Investire nella ricerca sulla carne coltivata non solo apre la strada a innovazioni nel settore alimentare, ma stimola anche progressi scientifici e tecnologici trasversali, arricchendo campi come la medicina, la biotecnologia e la farmaceutica, dimostrando come la ricerca in un settore possa influenzare e promuovere scoperte in ambiti apparentemente distanti.
Il mondo consuma 11 milioni di chili di cibo ogni giorno. Secondo una stima delle Nazioni Unite, entro il 2050 ne avremo bisogno del 70% in più. Potremmo produrre questo cibo coltivando ancora di più, con più fertilizzanti e pesticidi; disboscando sempre più foreste per creare campi e pascoli sempre più grandi. Oppure trovare un modo per farlo sulla terra che abbiamo ora, con metodi più efficaci: come le colture geneticamente modificate e la carne a base cellulare.
Il dibattito sull’utilizzo di queste tecnologie è un esempio emblematico di come la scienza e la tecnologia interagiscono con la politica e l’opinione pubblica. La complessità di questo dibattito richiede una riflessione approfondita e una discussione aperta, che consideri sia le implicazioni pratiche sia quelle etiche».
Come si evince da questa intervista, il divieto imposto dal governo Meloni impedisce di creare un nuovo prodotto interamente italiano, già avviato all’interno del nostro Paese dalla pioniera startup trentina Bruno Cell. Un danno significativo arrecato all’economia italiana nel lungo periodo, se consideriamo che gli analisti di Barclays stimano che il giro d’affari della carne coltivata sia destinato a crescere, fino a raggiungere i 140 miliardi di dollari a livello globale entro i prossimi dieci anni. Conseguenze che tuttavia il governo Meloni ha probabilmente messo in conto, nel momento in cui è andato a difendere parte del settore agroalimentare nazionale, ovvero il settore della produzione di carni italiane. Il ripetuto sostegno verso gli allevatori da parte di diversi componenti dell’attuale maggioranza parlamentare lascia infatti pensare che il governo Meloni abbia voluto proteggere questo comparto perché lo vede come un potenziale bacino elettorale. Secondo quanto riportato da HuffingtonPost Italia, questo settore offre lavoro complessivamente a 300mila dipendenti. Numeri rilevanti che inducono fortemente a credere che il divieto imposto alla carne coltivata sia stato un’operazione meramente politica, piuttosto che finalizzata a salvaguardare gli interessi economici nazionali.
Gabriele Caruso