Era il 2019 e il Palermo, a 3 anni dalla sua retrocessione, fu costretto a rivivere il dramma del fallimento societario dopo quello del 1987, e a ripartire dal livello più basso in assoluto: la Serie D, con Dario Mirri come presidente. Dopo sole tre stagioni, a seguito della vittoria ai playoff contro il Padova, i Rosanero sono riusciti a riprendersi il proprio posto nella categoria cadetta: una festa e una gioia sportiva che però è stata macchiata da una curiosa coincidenza (definibile così fino a un certo punto) che ha messo molte persone in difficoltà.

La sera dell’11 giugno, il capoluogo siciliano ha registrato un incredibile numero di forfait di presidenti di seggio e scrutatori in diverse zone della città, che hanno lasciato l’intera organizzazione in stallo a poche ore dall’apertura dei seggi per il referendum e le elezioni comunali. Infatti, 174 presidenti di seggio hanno fatto sapere che non si sarebbero potuti presentare per motivi personali, ben oltre 1/3 di quelli scelti per svolgere questo compito. In aggiunta a questa problematica, in diverse sezioni le schede sono arrivate con diverse ore di ritardo, rallentando così tutte le operazioni preliminari necessarie e, per forza di cose, anche il regolare svolgimento del voto. La procura è stata costretta a lavorare fin oltre la mezzanotte per trovare persone disposte a ricoprire il ruolo vacante, e molti scrutatori sono rimasti bloccati fino alle due di notte in attesa di qualcuno che potesse permettergli di completare lo scrutinio.

Una vera e propria fuga di responsabilità da parte dei presidenti di seggio che, in barba ai loro impegni nei confronti della comunità, hanno scelto di ignorare il loro dovere pur di poter vivere in prima persona il trionfo del Palermo e il suo ritorno in Serie B, senza alcun “fastidio” esterno che potesse rovinare la festa. Una mancanza di senso civico ed etico che non è giustificabile in nessuna circostanza e con nessuna motivazione che si possa fornire, un atto di inciviltà che non dovrebbe poter appartenere a un paese in cui è stato necessario lottare per avere il diritto di voto per dare voce alle proprie ragioni.

Eppure, troppe volte abbiamo la sensazione che in questo paese il calcio superi in importanza tutti gli altri argomenti, anche quelli che contano davvero. La fuga dai seggi di Palermo è la punta di un iceberg che ci racconta di un totale disinteresse per qualunque questione politica e sociale, diffusa in qualunque categoria sociale e qualunque fascia d’età. Il Referendum non ha raggiunto il quorum, avendo registrato appena il 21% di affluenza, dato che però è ancora più basso in quelle città in cui non c’era da votare per le amministrative – escludendo, per assurdo, anche lo “scandalo” di Palermo, dove appena il 15% degli aventi diritto si è recato alle urne. Il distacco del cittadino dall’impegno politico si sta consumando in maniera chiara ed evidente: c’è un netto scollamento, un disinteresse diffuso rispetto alle dinamiche della Cosa pubblica. I fatti dei seggi di Palermo non restituiscono la causa primaria di questo disinteresse, ma fanno capire le reali priorità di un Paese tendenzialmente legato alle “cose semplici”, fino quasi a risultare frivolo.

Per quanto nessuno possa dire che sia sbagliato tifare e gioire per la propria squadra, anche prendendosi un attimo di tempo libero durante il lavoro, evadere del tutto le proprie responsabilità in questo modo denota una mentalità sbagliata nei confronti dei doveri e della società. Palermo non è un caso isolato, non è accaduto e non accadrà solo lì, perché questo disinteresse è dilagante e non riguarda solo una città o una regione, perché ovunque in questo paese il calcio viene prima di ogni cosa. Ed è arrivato il momento di porsi qualche domanda, perché il disinteresse verso la politica è dilagante e sembra irrecuperabile, ma ne andrebbero indagate a fondo le cause: dare la colpa solo ai tifosi di calcio è troppo facile e conveniente per chi non vuole impegnarsi per questo Paese.

Andrea Esposito

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