La discussione sulla chiusura domenicale, e nei giorni festivi, ha da sempre diviso la classe politica e l’opinione pubblica. Con l’insediamento del nuovo governo, l’argomento è ritornato in auge proprio all’inizio di questo mese con la proposta di legge del ministro del lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio.

Come funzionava prima?

La politica italiana ha sempre legiferato in maniera capillare sul commercio e sul mercato del lavoro, lasciando potere discrezionale agli enti locali. La nostra linea temporale sul tema potrebbe partire dal decreto legislativo n. 114/1998 che prevedeva la scelta, da parte dei comuni, di un massimo di otto domeniche l’anno nelle quali permettere alle attività commerciali di restare aperte, più le domeniche di dicembre. Nel 2011, con il decreto legge n. 214, il governo Monti ha del tutto liberalizzato gli orari degli esercizi commerciali, tralasciando completamente il tema delle condizioni di lavoro dei dipendenti.

chiusura domenicaleLe proposte del governo Conte sulla chiusura domenicale

Da inizio settembre il tema della chiusura domenicale è di nuovo al centro della discussione politica italiana. Il sei settembre è iniziato l’iter parlamentare, in commissione Attività produttive della Camera, della proposta di legge che abroga la norma introdotta dal governo Monti.

La proposta della deputata leghista Barbara Saltamartini prevede le aperture straordinarie dei negozi solo per le domeniche di dicembre e per altre quattro domeniche (o giorni festivi) nel resto dell’anno, a discrezionalità degli enti locali.

Ma questa non è l’unica proposta a far discutere.

Quella del ministro Di Maio vuole reintrodurre un tetto del 25% ai giorni festivi e alle domeniche. In questi giorni sarà consentito aprire ogni tipo di esercizio commerciale a rotazione, non oltre il limite delle dodici aperture festive annuali. Il primo dei due articoli della proposta di legge targata M5S recita:

«Le regioni, d’intesa con gli enti locali, adottano un piano per la regolazione degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali di cui al comma 1 che prevede l’obbligo della chiusura domenicale e festiva dell’esercizio. Nel  piano adottato ai sensi del comma 4 sono individuati i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Tali giorni comprendono le domeniche del mese di dicembre, nonché ulteriori quattro domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno».

L’idea del M5S è quindi quella di lasciare ai commercianti la possibilità di restare aperti solo dodici domeniche o giorni festivi l’anno, in base alle esigenze del territorio e degli enti locali. La proposta non prevede restrizioni per bar e ristoranti ai quali è lasciata la libertà di restare sempre aperti.

«Le attività di somministrazione di alimenti e bevande non sono soggette ad alcun obbligo di chiusura domenicale o festiva».

Queste due proposte, però, non sono le uniche sull’argomento, dal momento che ve ne è anche una del PD, oltre a una legge di iniziativa popolare e a una proposta di legge del Consiglio regionale delle Marche.

chiusura domenicale
Fonte: Agf

Perché queste proposte di legge non risolveranno i problemi lavorativi del Paese?

La tesi a cui si appellano i politici italiani per giustificare le loro proposte sull’argomento è quella di voler restituire ai lavoratori il tempo domenicale da trascorrere insieme alla propria famiglia.

Possibile che l’unica soluzione sia quella di chiudere i battenti alle attività commerciali?

I fattori da considerare sono tantissimi. Durante il weekend lavorano anche molti giovani e studenti che durante la settimana sono impegnati in altro e che magari, durante i giorni festivi, decidono di lavorare part-time per mantenersi gli studi o per avere dei fondi da parte. Anche questa è una decisione che il singolo prende consapevolmente, sapendo benissimo di sacrificare del tempo che avrebbe potuto altrimenti trascorrere in famiglia. Ci sarebbe da chiedersi: da dove nasce quest’esigenza nei giovani? Forse dal fatto che il diritto allo studio nel nostro Paese non è garantito a tutti o non adeguato, di conseguenza molte famiglie non riescono ad affrontare la spesa delle tasse universitarie e quindi molti giovani decidono di lavorare anche mentre studiano; oltre che da tante altre criticità che risiedono altrove e che non possono essere risolte discutendo solo su quanto sia giusto o meno lavorare durante i giorni festivi. 

Seguendo questa linea di pensiero, giovani e adulti non vengono “costretti” a lavorare nei giorni festivi, ma firmano comunque un contratto in cui è previsto un orario ben preciso e di cui sono consapevoli fin dall’inizio. 

Secondo Federdistribuzione, l’associazione che raggruppa centri commerciali e ipermercati, questa proposta di legge, se attuata, nel lungo termine comporterebbe la perdita di circa 40mila posti di lavoro. Nonostante questi dati spaventosi, però, i due partiti di maggioranza del governo Conte insistono sulla soluzione della chiusura domenicale: perché davvero “preoccupati” per i lavoratori italiani o semplicemente per motivi propagandistici?  

Da non sottovalutare il fatto che le madri sempre di più optano per dei lavori part-time e che quindi chiudere la domenica significherebbe eliminare delle ore lavorative e con esse un compenso fondamentale per loro e molti altri. Inoltre, le domeniche sono i giorni della settimana in cui si spende di più nei supermercati e centri commerciali. Dall’altra parte, considerando l’attuale panorama in cui sia donne che uomini lavorano a tempo pieno durante la settimana, i clienti hanno la necessità di effettuare commissioni, come la spesa e acquisti vari, di domenica o nei giorni festivi in generale.

Dei nostri vicini (qui il resoconto della situazione europea) hanno adottato un modello a cui potremmo ispirarci: il sistema francese è basato sullo SMIC, il salario minimo orario, vale a dire il livello retributivo orario al di sotto del quale non può scendere alcun salario. Entrato in vigore nel 1950, si prevede che lo SMIC sia calcolato all’inizio di ogni anno considerando alcuni fattori, come quello del potere d’acquisto. Nel 2015, ad esempio, corrispondeva ad un orario lordo pari a 9,61 euro, ossia 1.457,52 euro lordi mensili per un lavoro a tempo pieno (35 ore settimanali). Adottare delle soluzioni alternative, come questa presa ad esempio, potrebbe risolvere diversi problemi della realtà lavorativa italiana. Tra questi, quello della chiusura domenicale è il minore. 

Piuttosto che proporre soluzioni “rivoluzionarie”, quindi, sarebbe molto più semplice ripartire dalle basi e pensare, ad esempio, a delle condizioni retributive giuste che prevedano un salario più alto nei giorni festivi, delle turnazioni eque tra i dipendenti (in modo da permettere a tutti di stare in famiglia almeno qualche domenica al mese), delle norme che rispettino e valorizzino (davvero) i lavoratori raggiungendo così quella “buona civiltà” che il ministro Di Maio tanto desidera per i cittadini italiani.

Federica Ruggiero

3 Commenti

  1. premetto che lavoro nella grande distribuzione…
    ma ti rendi conto delle cazzate che dici???????????
    il fatturato settimanale è spalmato su 7 giorni invece che su 6.
    se tu guadagni 100, se i negozi sono aperti anche alla domenica ti puoi permettere di spendere 110??????
    svegliati e scantanti

  2. Brava…..
    Anche io lavoro nelle grande distribuzione….e ci hanno anche ridotto la maggiorazione domenicale se non bastasse.

  3. Concordo con quello che dite. Anch’io lavoro nella grande distribuzione da 25 anni e la mia situazione è peggiorata e mi hanno anche cambiato contratto. Anni fa potevo rifiutarmi di lavorare la domenica ora non più e nei giorni festivi il personale è ridotto quindi corriamo come dei forsennati, altro che assunzioni. Mi fa incazzare quando dicono che la gente lavora durante la settimana e la domenica deve fare acquisti. Sì perché io invece durante la settimana sono a casa e lavoro solo la domenica? Quante cazzate, quindi io non potrei mai fare la spesa

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