Si è finalmente trovato l’accordo per il nuovo governo a tinte gialloverdi. Tutti hanno fatto un passo indietro a partire dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che alla fine ha accettato Savona in un Ministero meno influente, Di Maio e Salvini che hanno dovuto trovare la quadra definitiva. E stavolta Giuseppe Conte potrà davvero scrivere Presidente del Consiglio sul curriculum. Non pare vero.
Una genesi difficile per il Governo Conte
Sì, perchè la genesi di questo governo Conte è stata figlia di una gestazione a dir poco sofferta con polemiche a non finire dove si è addirittura accarezzata l’idea dell’impeachment (prospettiva prontamente rientrata) mentre l’elettorato si azzuffava a colpi di cori da stadio. Al di là delle recriminazioni sui fatti accaduti, già ampiamente dibattute sulla loro sensatezza, la domanda che tutti oggi si pongono è: perché è successo tutto questo?
Tutto parte da Mattarella che, in coscienza, pare aver voluto scongiurare il rischio di default che la scelta di Paolo Savona al ministero dell’Economia avrebbe comportato. Una minaccia vera, palesata – anche se travisata nelle parole – dal commissario UE Oettinger qualche giorno dopo. Un fatto inaccettabile, perché ogni Stato si presume debba avere la discrezionalità delle proprie decisioni, cosa scontata per chi impugna la democrazia e inneggia alla sovranità del popolo. Ma la questione non è affatto così semplice.
Le nostre democrazie sono – e su questo c’è solo da prenderne atto – schiave del mercato globale. Questo ormai è un dato acquisito e la cosa non deve destare scalpore. Se ne era accorto già Immanuel Wallerstein negli anni ‘70, quando affermava l’esistenza di un sistema mondo a sfondo capitalistico, dove gli eventi localizzati sono solo l’effetto farfalla di grandi processi anche molto lontani da noi.
Ciò significa che molte delle dinamiche economiche, finanziare e quindi politiche squisitamente “interne”, non sono più ad appannaggio dei singoli Stati.
Dunque le scelte vengono prese sempre sulla base di questo scenario, dove i rappresentanti devono muoversi cautamente sul filo sottile degli equilibri europei e dove la politica locale è essa stessa derivazione di un potere economico globale. Sia chiaro la dimensione mondialista non è un gioco che deve per forza piacere, ma – nel caso dell’Italia – siamo al tavolo di un’Unione europea con trattati firmati e accordi in essere. Prima di ribaltare il tavolo, o anche solo paventare tale scenario, la mano bisogna prima finirla se si vogliono evitare strappi traumatici dagli esiti imprevedibili. Ma questo approfondimento, lo lasciamo agli economisti.
Con questo non si vuole fare apologia di Mattarella, di certo “antipatico” nella sua scelta di assecondare le agenzie di rating straniere, per alcuni inopportuno nella sua granitica presa di posizione. Ma c’è da prendere atto dell’inevitabilità di quella decisione messo di fronte ad un àut àut data una palese situazione di squilibrio di potere.
Eppure Mattarella fino a ieri è stato un nemico del popolo più che un ostaggio del mercato.
Colui che ha rischiato di tarpare le ali e i sogni di gloria dei partiti (o movimenti) del cambiamento, dell’onesta, del reddito di cittadinanza, della flat tax, dell’Italia agli italiani.
Un equivoco di percezione da cui si è innescato un malcontento diffuso e irreprimibile, ben orchestrato anche con toni aspri e ingiustificati di Matteo Salvini e Luigi Di Maio che si nutrono proprio di ciò: di un elettorato disorientato, orfano di valori e di appartenenze, di una visione chiara sul mondo e senza più ideologie fondanti.
Una crisi partita da lontano, per semplicità storica individuata a partire dagli anni ’70, quando le certezze del mondo occidentale iniziano a subire una dura battuta d’arresto: la crisi petrolifera, gli eventi del conflitto vietnamita, l’esplodere della questione mediorientale, la crisi del comunismo, il lento incedere del dialogo est-ovest, il declino futurologico e del mito del progresso, tutte cose che hanno scatenato una delusione storica e prodotto una prima generazione di uomini privati della garanzia del raggiungimento di un qualunque obiettivo di giustizia (sociale, economica o politica).
La società liquida è la nostra
Questo ha sempre più modulato una società liquida, una metafora fortunata del sociologo Zygmunt Bauman, ovvero una società scevra di capisaldi dove a mancare sono i tradizionali punti di riferimento. Parliamo di valori, visioni del mondo, di un comune sentire, tutte cose ormai assenti – all’uomo manca una qualsiasi coscienza di classe perché sono le stesse classi a non esistere più.
E anche le tradizionali appartenenze partitiche – quelle una volta fondate su una base ideologica, su precise visioni del mondo – oggi nascono a partire da materiali interessi particolaristici, individuali, sapientemente nutriti dal politico di turno che promette soluzioni escatologiche e comunitarie fondando una nuova ritualità fatta di claim e di marketing politico.
E il grosso dell’elettorato ci casca in pieno.
Facendosi ingolosire da contratti ai limiti della fantasia, che consentono il proliferare di movimenti dall’asso piglia tutto catalizzatori delle istanze più diversificate (anche in contraddizione), ma che oggi – e questo è da problematizzare – in diverse parti d’Europa sono in ascesa. Perché è proprio qui, nell’insenatura tra questa crisi ideologica e l’affermarsi strutturante di enti finanziari sovranazionali di cui sopra, che proliferano queste nuove realtà politiche sui generis.
Ed è proprio dal caos che si rischia di consegnare le nostre democrazie, i nostri governi, ai più turpi dei populismi che non lasciano in autonomia la figura del Presidente del Consiglio Conte. Forse viviamo in un paese ingiusto, forse no. Ma il mondo va in una direzione mentre le coscienze di molti sembrano andare in un’altra.
Enrico Ciccarelli
Il mio voto a questo articolo é 5–
Cinque meno, meno, perché l’articolo, manca di chiarezza e perché “liscia il pelo”, seppur indirettamente, a quella frangia politica che si contrappone al populismo sovranista dal lento emergere in Italia ms che presto sarà la normalità in tutta Europa. I masso-satanisti globalisti e neoliberali saranno relegati in un angolo dove meritano e stessa coda accadrà a tutto il codazzo di servi e lacchè, che per anni ne hanno retto il moccolo e tessuto le lodi.
ho letto l’articolo fino a “Non pare vero.” Un vero libero pensiero non avrebbe mai scritto ciò. al prossimo vi depenno, saluti