Comunque chi vince festeggia e chi perde spiega. Prendo spunto per copyright da Julio Velasco prima e Leo Turrini poi, perché è ormai una o forse due generazioni che ci troviamo a fare la stessa cosa (e un paio d’anni che ci troviamo qui per Sebastian Vettel). Dobbiamo spiegare cosa (e soprattutto perché) non è andato. Ai lettori, agli amici del bar, alla mamma che crede di vivere perennemente nel 2004 e che l’inno tedesco sia per Schumacher, a tutti in una forma diversa ma con la stessa sostanza.

Anche quando ci sono, Lewis Hamilton non conosce rivali. Anche quando ci sono, Mercedes non conosce rivali. I due effetti combinati sono a dir poco devastanti, perfetti tecnicamente, per prontezza di riflessi, colpi di reni e adattabilità. Sono i protagonisti assoluti dell’era ibrida, con più della metà dei gran premi disputati vinti dal britannico che da 4 anni a questa parte detta legge in F1. Quinto titolo mondiale, 83 pole position e ha praticamente vinto almeno una gara ogni anno che ha corso sul grande palcoscenico della F1. Questo è un (mini) biglietto da visita di un ragazzo tanto glamour e alla moda quanto animale in gara, premessa che basterebbe da sola come spiegazione.

Una vecchia signora come la Ferrari ha fatto comunque la sua parte negli ultimi due anni. I tifosi riconoscono i dovuti meriti a un team evidentemente non sempre eccelso, eppure, in un presente fatto di luci e ombre comuni, la situazione peggiore la vive soprattutto Sebastian Vettel.

Quasi declassato a pilota di seconda mano, il tedesco ha precedenti sul taccuino che sicuramente non lo aiutano a scarcerarsi. Tra le mani, infatti, ha avuto a lungo una vettura superiore alla concorrenza, nonché le attenzioni del team che in questi anni si è costruito per lui, senza compiere però un definitivo salto di qualità (che in buona sostanza vuol dire vincere un titolo).

Tuttavia, Sebastian Vettel ha contribuito a rinsavire una scuderia che a suo tempo veniva dalle amare annate con Fernando Alonso, trasmettendole il meglio e il peggio di sé. Serenità e armonia, vittorie e costanza di risultati che alla Ferrari mancavano come il pane, miste però alle euforie nei momenti difficili che fanno del quattro volte campione del mondo un “tedesco con il temperamento di un meridionale”.

A Baku e in Francia, così come a Monza, a Suzuka e ovviamente a Hockenheim, sono venuti a galla i pochi limiti di un pilota che quest’anno non ha sicuramente brillato come avrebbe voluto. Che ha vinto nella prima parte di stagione, superando in parte anche l’handicap qualifiche con Mercedes, per poi arrancare nella volata finale. Piccoli errori che possono condizionare alla lontana la matematica di un mondiale, che peraltro Hamilton ha disputato in crescendo, a testimonianza di un lavoro straordinario da parte sua e della scuderia.

Un anno fa i riflettori puntavano tutti sul muretto della Ferrari, e sulle incertezze che dietro e davanti al box la trascinarono all’harakiri autunnale, da Monza in poi. Questa volta, malgrado un andazzo pressoché simile per alti e bassi, a uscirne malridotto più di altri è lo stesso Vettel, che è reo ancora una volta di aver sprecato troppe buone opportunità. E insieme a lui il suo stesso box, che più volte ha tentennato nelle situazioni più delicate e forse all’apparenza banali (che si tratti di essere la sola vettura con le intermedie in un Q3 asciutto o di non avere ben chiaro il ruolo di Raikkonen nell’economia di una gara).

A Monza, ad esempio, la Ferrari ha corso in inferiorità numerica, non ha gestito a modo la risoluzione del contratto del finlandese Raikkonen ed è stata complice per vie traverse dell’inizio della fine del Mondiale piloti e costruttori. Sarebbe stupido utilizzarlo come alibi, eppure la scomparsa di un punto di riferimento come Sergio Marchionne ha scosso i meccanismi già poco oliati della scuderia di Maranello.

Sulla testa di Sebastian Vettel, quindi, continuerà a pesare un clima avverso, a volte addirittura esagerato, che lo ha già messo in guardia per il prossimo futuro con Charles Leclerc. Sarebbe impensabile scaricare il tedesco per il nuovo arrivato, malgrado pare che in molti tra i non addetti ai lavori ne abbiano già la tentazione. 

Sebastian Vettel deve restare al centro della baracca, e aspettare che tra 12 mesi si possano fare i bilanci della sua avventura in rosso. Che quelli su Hamilton, ormai, hanno messo d’accordo anche i sassi.

O forse non tutti, dato che il complotto è dietro l’angolo e c’è chi parlerà di cerchi forati, delle presunte irregolarità Mercedes e della direzione del Circus che sembra pendere tutta dalla parte dei Tedeschi. Sono atteggiamenti, questi, che rendono malato qualsiasi sport al mondo e soprattutto chi lo segue.

Nel caso specifico parliamo di una trovata che avrebbe dovuto avere, nel corso della stagione, compiti ben precisi, che in molti hanno però interpretato come un’elusione al regolamento. I fori ai cerchi della Mercedes sono stati assunti come regolari dagli organi competenti (e non vantaggiosi ai fini aerodinamici), eppure in molti continueranno a storcere il naso e a farne un cavallo di battaglia per i propri racconti, vuoi che sia una chiacchiera da bar o un articolo di giornale. Con i “se” e con i “ma” non si fa la storia, figuriamoci i Mondiali di F1.

A dirla tutta, intanto, occhi inquisitori sono piombati addosso anche alla Ferrari in occasione del controllo che la Fia ha imposto sulle batterie della Rossa. Una gestione equa che non ha nulla a che vedere con l’esito della Kermesse. 

Questo lo conosciamo tutti, e che piaccia o meno pensare a come sarebbe andata, dentro la convinzione è che pur senza errori staremmo lodando tutti di nuovo lo stesso pilota che al momento (e chissà per quanto) è il più forte in circolazione.

 

Fonte immagine in evidenza: ilmessaggero-motori

 

Nicola Puca

 

 

 

 

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