Da circa un mese in diversi paesi europei, Italia compresa, le proteste di rappresentanti e categorie del settore agricolo hanno dimostrato quanto anche un movimento con anime differenti possa avere un forte impatto mediatico, soprattutto se il tema è portato avanti da un compartimento della società ritenuto importante per l’economia del paese. Attraverso blocchi autostradali, “marce su Roma” o meno evocative “marce su Sanremo”, gli agricoltori italiani sono riusciti ad essere ascoltati e ad ottenere una parziale rassicurazione su quegli aspetti che più suscitavano preoccupazione, riconducibile ai progetti di regolamentazione del settori italiani ed europei, a cominciare dalla riforma della PAC (Politica Agricola Comune) e dai vincoli del New Green Deal. Tuttavia le proteste sono continuate con intensità, facendo registrare nelle ultime settimane diversi blocchi stradali e cortei da nord a sud del Paese.
In Europa il clima è ancora più teso: il 27 febbraio infatti nei pressi del luogo che ha ospitato la riunione dei Ministri dell’agricoltura, i manifestanti hanno dato al fuoco copertoni, cassonetti, tirato uova, non prima però di aver forzato un blocco della polizia. Da un punto di vista di gestione delle forze dell’ordine e di rappresentazione mediatica si è osservato un atteggiamento tollerante, come legittimamente dovrebbe essere nei confronti di chi esprime il proprio dissenso (come, per quanto riguarda l’Italia, è sostenuto dall’articolo 17 e dell’articolo 21 della Costituzione).
Se a Bruxelles la manifestazione è stata in parte dispersa con l’uso degli stessi idranti necessari allo spegnimento dei roghi, in Italia le azioni delle forze dell’ordine sono state per lo più di controllo. Come si anticipava, le proteste degli agricoltori hanno avuto risonananza tale da raggiungere metaforicamente addirittura il palco dell’Ariston. La stessa Presidente del Consiglio Meloni si è espressa in difesa degli agricoltori, affermando come questi non lottino per i privilegi ma per la tutela del loro lavoro.
Fin qui tutto bene. Ciò che stona, tuttavia, è la profonda disparità di trattamento di queste proteste rispetto a quelle degli attivisti climatici e in generale con altri tipi di contestazione, come ad esempio le proteste studentesche pro-Palestina, che hanno conosciuto la repressione con l’ennesima carica da parte della Polizia sia a Firenze che Pisa.
Attivisti climatici: Le proteste per la COP28 di Ultima Generazione e Extintion Rebellion
Eppure, le modalità di protesta di studenti e attivisti per il clima non sono troppo lontane da quelle degli attivisti dal mondo dell’agricoltura, anzi sono state senza dubbio più pacifiche e moderate. Ciò che però accomuna entrambi i movimenti e che fra le pratiche utilizzate per manifestare il proprio dissenso esiste quella del blocco stradale e autostradale. Se nel caso degli agricoltori c’è stata come detto una sostanziale impunità, gli attivisti ambientalisti di Ultima Generazione, rei di aver bloccato la Civitavecchia-Roma lo scorso dicembre, hanno subito 12 arresti fra le loro fila.
Nello stesso mese, Extintion Rebellion aveva animato ad una protesta coordinata in 5 città, nello specifico Roma, Torino, Milano, Bologna e Venezia. La protesta, completamente pacifica, prevedeva come momento centrale lo sversamento nelle acque dei fiumi delle rispettive città un composto di fluoresceina sodica, sostanza colorante, nota per essere utilizzata come marcatore in ricerche biochimiche ha reso temporaneamente le acque dei fiumi completamente verdi.
È bene sottolineare che la fluoresceina è un elemento completamente naturale che si dissolve in poche ore. Anche in questo caso fra le diverse città ci sono stati numerosi arresti, 28 per la precisione, e altre misure penali come la notifica del foglio di via (strumento giuridico che bandisce per un determinato periodo di tempo un individuo da una città) a 5 manifestanti di Venezia che impedirà loro la permanenza e l’accesso in città per 4 anni. Un problema non da poco considerando che alcuni di loro sono iscritti all’Università Ca’ Foscari di Venezia, rendendo per tanto complicata la normale prosecuzione degli studi.
Danneggiamenti di opere d’arte (?) ed “eco-vandalismo”
Anche il ritratto dipinto dai media è stato impietoso: non sono rari infatti l’utilizzo di termini denigratori che ricadono nella sfera dell’immaginario del terrorismo come “blitz ambientalista” o il ricorso al neologismo “eco-vandalismo”, termini che decontestualizzano e depotenziano gli atti di protesta di tutto il loro significato simbolico e ne fraintendono modalità e fini. Con eco-vandalismo, ad esempio, si accusa gli attivisti di “danneggiare” le opere d’arte, riconducendo il gesto di protesta all’atto vandalico che attenta alla conservazione di opere uniche, peraltro in realtà illese. Un modo di raccontare la realtà che è anche espressione della posizione del Governo che si è mosso per dotarsi degli strumenti penali adatti per contrastare questa manifestazione di dissenso.
Con l’approvazione del disegno di legge contro l’eco-vandalismo, infatti, sono previste pene severe per la «distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici» che vanno dai 10.000 ai 60.000 euro di multa e che nei casi più gravi possono portare fino a 5 anni di carcere. Se da un lato la tutela del patrimonio culturale è cosa legittima e auspicabile, bisogna considerare che nella maggior parte dei casi le azioni degli attivisti non hanno impatti permanenti sulle opere ma che sono, anzi, invece facilmente rimovibili.
Protestare è un diritto? Sì, ma non per tutti
Protestare è un diritto sancito dalla Costituzione. Ciò che emerge da questo confronto, tuttavia, è che questo diritto sembra essere valido solo per alcuni. Nonostante le modalità di protesta simili, infatti, il livello di repressione per proteste degli agricoltori e attivisti climatici è stata enormemente sproporzionata. Da un lato si registrai il tentativo di imbonire una classe sociale ritenuta fondamentale per l’economia del paese, dall’altro gli ideali dei giovani attivisti, che siano climatici o pro-palestina, vengono invece repressi con violenza e mancanza di ascolto, trattando i manifestanti alla stregua di nemici dello stato o “vandali” da rieducare.
Il Ministro dell’Interno Piantedosi, dal canto suo, si è dichiarato preoccupato per una crescente ondata di violenza nei confronti delle forze dell’ordine (il che se non paradossale è quantomeno opinabile). La preoccupazione per chi scrive, invece, è che esprimere il proprio dissenso nei confronti di fattispecie sensibili per chi ci governa sia divenuto un privilegio riservato a chi possiede quel potere contrattuale necessario a minarne nel concreto gli interessi.
Giuseppe Alessio