Salario minimo
Fonte: Popoffquotidiano.it

Una nuova legge sul salario minimo non è più una possibilità di cui dibattere se sia efficace o meno, se sia utile o meno. Per molti sembra sia diventata una necessità, per una motivazione su tutte: la contrattazione collettiva ha fallito e da sola non basta più.

Cavallo di battaglia del governo Conte 2, ora la legge sul salario minimo è tornata timidamente al centro del dibattito politico, caldeggiata ancora una volta dai leader di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana. Ma come l’introduzione della tassa patrimoniale, nel panorama italiano queste tematiche sono tabù. Stiamo parlando di semplici strumenti di redistribuzione del reddito – presenti tra l’altro in molti paesi – che in Italia vengono demonizzati dal sistema mediatico e liquidati come misure devastanti per le imprese e per l’equilibrio del sistema economico.

I primi ad opporsi all’introduzione di una retribuzione minima oraria, ad eccezione di Maurizio Landini, paradossalmente sono proprio i segretari sindacali. Lugi Sbarra, segretario generale della CISL, attraverso un comunicato non nasconde il timore che il salario minimo possa spingere molte aziende ad uscire dalla contrattazione collettiva. «La retribuzione non è fatta solo di un compenso orario minimo – afferma Sbarra – ma ci sono voci come la tredicesima, le ferie, le maggiorazioni e la bilateralità che danno la retribuzione complessiva e sono garantite dal contratto, non dalla legge. Il salario minimo agisce nei Paesi dove la contrattazione è stata smontata, avvelenata, sacrificata, distrutta».

Dello stesso avviso il segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri che accusa i politici promotori di questa misura di non aver compreso la direttiva europea. Secondo Bombardieri, infatti, l’Europa ha un obiettivo chiaro: estendere la contrattazione. «Per noi il salario minimo è quello dei minimi contrattuali – afferma – bisogna fare molta attenzione su questo tema. Rischiamo di ridurre lo spazio contrattuale».

Effettivamente l’Europa non fa un concreto riferimento alla richiesta di una legge che imponga un minimo salariale, bensì pone come obiettivo quello di garantire retribuzioni minime adeguate a tutti i lavoratori dell’Unione. Questo traguardo, come spiega la direttiva proposta dalla Commissione Europea, può essere raggiunto anche con adeguati livelli di contrattazione collettiva.

La domanda è: i nostri livelli di contrattazione collettiva sono adeguati? Secondo l’ultimo comunicato del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), i contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti sono 985. Di questi, 610 (pari al 61,9% del totale) risultano scaduti e riescono a coprire circa l’80% dei lavoratori. Come riporta l’approfondimento di Valigia Blu, inoltre, nel tempo la proliferazione dei contratti nazionali e dei cosiddetti “contratti pirata” – firmati da aziende e sigle sindacali, spesso costituite ad hoc, con minimi molto bassi – ha infierito negativamente sulla contrattazione nazionale.

I sindacati, nonostante in buona parte dell’Europa salario minimo e contrattazione nazionale convivano tranquillamente, continuano ad opporsi a questa misura. Sarebbe opportuno, piuttosto, ammettere onestamente l’inefficacia delle proprie azioni contro l’avanzata padronale e l’incapacità di adattare il benessere socio-economico dei lavoratori alle evoluzioni in atto. In Italia, ad oggi, il 20% dei lavoratori e delle lavoratrici è scoperta dai contratti collettivi, circa il 12% è a rischio povertà e 4.6 milioni guadagnano meno di 9 euro l’ora.

Intanto, notizia di pochi giorni fa, il ricercatore David Card è stato uno dei tre premiati con il Nobel all’economia per i suoi studi condotti sul mercato del lavoro. Card è famoso proprio per aver analizzato gli effetti dell’aumento del salario minimo nei fast food del New Jersey nei primi anni ’90. Dimostrò che un aumento della paga oraria da 4,25 a 5,05 dollari all’ora non solo non provocò un trasferimento dei costi sui clienti come sostiene da sempre l’economia neo-liberista. Contro tutte le aspettative, infatti, l’aumento del salario minimo comportò anche un incremento del 13% sull’occupazione. Nulla avvenne, invece, nel vicino Stato della Pennsylvania che non aveva applicato alcuna maggiorazione.

Fonte: Elaborazione Openpolis.it su dati Ocse

Nelle ultime settimane ha fatto molto discutere questo grafico che testimonia come l’Italia non solo sia l’ultimo Paese in Europa per incremento salariale negli ultimi 30 anni, ma anche l’unico ad aver subito addirittura una decrescita degli stipendi. Il calo della produttività generale che ha interessato l’Italia dalla seconda metà degli ’90 ad oggi, da solo non basta a giustificare un dato così allarmante e così distante da quello degli altri Paesi. Se il salario minimo non è la soluzione, allora che si trovino delle alternative; perché anche la dignità ha bisogno di una soglia minima.

Matteo Mercuri

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