Da bambini, una delle fiabe che colpisce di certo è quella de “La Piccola Fiammiferaia”. È una storia triste, di povertà e di morte, che si conclude con un finale dolce-amaro che non si può definire né triste né lieto. Questa storia insegna, tuttavia, a capire il valore delle nostre azioni e l’importanza della solidarietà umana: del resto da piccoli impariamo a conoscere la realtà che ci circonda attraverso le fiabe. Le meravigliose avventure di pirati e principesse, di gnomi e di maghi ci trascinano in una dimensione altra, fungendo da filtro e da strumento per l’approccio al mondo.
Hans Christian Andersen fu tra i primi autori a scrivere fiabe originali: attingeva elementi dal mondo reale e li intrecciava a situazioni immaginarie. La sua particolarità era che, molto spesso, mancava nel finale il classico “e vissero per sempre felici e contenti”. Mancava, dunque, la certezza semplice e rassicurante che non importa quanti ostacoli rallenteranno il nostro cammino e quanti nemici intralceranno i nostri traguardi, alla fine dei conti il bene trionferà sempre sul male. Ma lo scrittore danese non ci sta ad una risoluzione così semplicistica: condizionato dalle sue difficili vicende autobiografiche, racconta nelle sue storie una visione e un punto di vista del mondo più realistico e disincantato.
Pubblicata per la prima volta nel 1848, “La Piccola Fiammiferaia” diventa lo specchio di anni difficili di povertà e sofferenza, anni che non risparmiano purtroppo nemmeno i bambini.
La storia è ambientata nella notte di San Silvestro, l’ultimo giorno dell’anno. Era una notte molto fredda e la neve continuava a cadere fitta, ricoprendo con il suo manto i tetti delle case. Mentre la sera calava, la gente, carica di pacchi e di regali, si affrettava per le strade. Qualcuno tornava a casa, qualcuno si incontrava per festeggiare: tutti passeggiavano coperti da pesanti cappotti, guanti e sciarpe per combattere il gelido freddo invernale. Ma c’era una piccola, diversa dagli altri bambini che giocavano con la neve e da tutti i passanti incappucciati per bene. Una piccola con i vestiti leggeri e strappati e in mano una scatola di fiammiferi: era la piccola fiammiferaia.
Era molto stanca e infreddolita, ma non poteva tornare a casa. Non aveva venduto neppure un fiammifero e suo padre si sarebbe di certo arrabbiato. Intanto si faceva buio e le strade diventavano pian piano deserte: la gente era sparita e con essa la sua ultima possibilità di guadagnarsi qualcosa. Del resto, anche prima che la notte calasse la piccola si era mossa tra l’indifferenza delle persone, troppo indaffarate per prestare tempo e attenzione alla fiammiferaia.
Con i piedi lividi dal freddo, la piccola sedette per terra, non trovando il coraggio di tornare a casa. Per riscaldarsi le dita congelate, pensò di accedere uno di quei fiammiferi che non era riuscita a vendere. Una piccola fiammella arancione divampò e mentre la bambina passava il fiammifero da una mano all’altra per riscaldarsi, fissando il fuoco le apparve una grande stufa. Una sensazione di caldo la invase e fece per allungare i piedi verso i ceppi per riscaldarsi totalmente, ma la luce del fiammifero si spense portandosi via anche quella meravigliosa fantasia.
La bambina decise di accendere un secondo fiammifero: il freddo muro che aveva difronte svanì improvvisamente e apparve una grande stanza. C’era una tavola imbandita, ricoperta da una tovaglia: al centro capeggiava un tacchino arrosto. La bambina tese le mani per afferrare un pezzo di carne, ma il fiammifero si spense e riapparvero i freddi e spessi muri.
A quel punto accese il terzo fiammifero. Questa volta la piccola immaginò di essere vicina ad un albero di Natale, dalle mille luci, il più bello che avesse mai visto. Vicino all’albero c’erano dei pacchetti regalo e allora allungò una mano per afferrarne uno.Ma la fiammella del fiammifero si spense di nuovo. Il buio e il freddo tornarono a farla da padroni, ma le luci dell’albero sembrarono volare lì fino in cielo illuminandolo. In realtà erano stelle: una di loro cadde, tracciando una lunga scia.
Un giorno sua nonna, che ormai non c’era più, le aveva raccontato che quando si vede una stella cadere, vuol dire che l’animo di qualcuno è volato in cielo. La piccola accese un altro fiammifero: e nella luce le sembrò di vederla, sua nonna, morta anni prima. Era il più bel sogno di sempre. E allora accese tutti i fiammiferi per evitare che la nonna sparisse come la stufa, la tavola imbandita e l’albero di Natale. La nonna allora la strinse forte tra le sue braccia e volarono via in un gran bagliore. La portò con sé, lì dove la bambina non avrebbe più dovuto subire il freddo e la fame.
Il mattino dopo il sole illuminò il corpicino gelato della piccola fiammiferaia. E chi passava di lì e la vedeva, morta assiderata, non poteva immaginare minimamente quali meravigliosi visioni erano apparse alla bambina. Nessuno era degno di conoscere quel segreto.
Nella (tutt’altro che) innocua fiaba di Andersen emerge una spietata critica sociale: alla luce del racconto, perfino qualcosa di “sacro” come la magia del Natale assume un valore del tutto nuovo. Al caldo delle nostre case, circondati dall’affetto dei nostri cari e avvolti dalla prospettiva meravigliosa di giorni di vacanza e regali, ci sembra difficile immaginare che non è poi tutto così scontato.
Nella fiaba, le luci sfavillanti degli alberi si fanno da parte per lasciar intravedere la crudeltà di un mondo senza solidarietà, dove l’egoismo e il consumismo regnano sovrani,dove non si allunga la mano verso il prossimo, lasciato a morire al freddo e al gelo.
I fiammiferi della bambina sono la metafora delle sue illusioni: la fiammella apre lo spiraglio a visioni meravigliose, destinate a dissolversi velocemente. Perché la realtà è ben diversa: una realtà di freddo e povertà, in cui è fin troppo difficile tenere accesa la luce della speranza. L’unica prospettiva di felicità della bambina si apre con la morte: trascinata lontana dal mondo crudele ed egoistico in cui non c’è spazio per l’altruismo. Ognuno pensa a sé e a nessuno importa della piccola fiammiferaia.
Ma ecco che la morte della bimba sopraggiunge all’alba del primo giorno del nuovo anno: e forse simbolicamente si vuole nient’altro intendere quella volontà di rinascita. Non c’è spazio per la redenzione, ma forse c’è spazio per la pace. E la consapevolezza dell’importanza della solidarietà, che potrà illuminare perfino le zone d’ombra della realtà.
Vanessa Vaia