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Juan Carlos di Spagna, il re ormai tristemente nudo

Juan Carlos Spagna
Fonte: BBC News

Che triste tramonto per uno dei personaggi più rilevanti del secondo Novecento europeo: la foto che ritrae Juan Carlos di Borbone sulla scaletta di un aereo, appena atterrato ad Abu Dhabi, non rende giustizia alla parabola personale e politica di una delle ultime teste coronate d’Europa che abbia avuto un concreto ruolo attivo nelle vicende più importanti della storia moderna del suo Paese, la Spagna.

La fuga di Juan Carlos di Borbone

Juan Carlos, che ha abdicato a favore del figlio Filippo nel 2014, all’inizio degli anni ’80 è stato il protagonista della transizione della Spagna dal franchismo a una democrazia parlamentare pluralista e innovatrice: sotto la sua supervisione la Spagna nei primi anni Duemila è stata anche capace di proporre una delle ultime sinistre politicamente vivaci del Vecchio Continente. Oggi, di fronte al “tradimento” del re emerito nei confronti del rispetto e dell’ammirazione di un’intera Nazione, la stessa democrazia spagnola, lacerata dal separatismo catalano e inquietata dalla pandemia, punta il dito contro una monarchia che appare francamente indifendibile.

Il leader di Unidas Podemos, Pablo Iglesias, una settimana fa è stato tra i primi a parlare della “fuga all’estero” di Juan Carlos e di “comportamento indegno di un ex capo di Stato” su Twitter, mettendo in evidenza come il re emerito avesse lasciato in una posizione molto “difficile” la monarchia. Il partito più radicale della maggioranza di governo di centrosinistra avrebbe preferito che Juan Carlos fosse rimasto in Spagna fino alla conclusione degli accertamenti giudiziari sulle frodi fiscali originate da una presunta corruzione nel conferimento di un appalto, nel 2011, per la costruzione di una ferrovia in Arabia Saudita affidata a ditte spagnole.

Il volto più moderato della coalizione al potere, a cominciare dal Psoe del premier Sánchez (che pare sia stato parte attiva nell’incentivare la partenza di Juan Carlos), e una parte delle opposizioni (compreso Ciudadanos) sono sembrati invece in un certo senso favorevoli alla fuga, ritenuta utile alla stabilità del governo e a quella del Paese, che nella fase 3 dell’emergenza da coronavirus deve al più presto affrontare la sfida della crisi economica. Una risposta, quest’ultima, che rischia di complicarsi proprio a causa della crisi di fiducia degli spagnoli nei confronti dell’istituzione monarchica.

Una petizione di più di 25.000 studenti, solo per fare un esempio, ha già chiesto al rettorato della prestigiosa Università “Rey Juan Carlos” di cambiare nome all’istituzione. Le dichiarazioni di sdegno da parte dell’associazionismo civile e sindacale si moltiplicano; alcuni esponenti del mondo politico sospettano che, dietro agli illeciti di Juan Carlos, ci sia una sorta di “tendenza all’illegalità” della famiglia reale (testimoniata anche da un precedente coinvolgimento in inchieste giudiziarie del genero di Juan Carlos) e chiedono che il re Filippo VI rinunci alle proprie immunità personali.

Storia di un uomo che fu re

Non ha certo aiutato l’aspetto scandalistico della vicenda giudiziaria: oltre al coinvolgimento dell’ex amante tedesca, le prime voci parlavano di una fuga in Repubblica Dominicana presso potenti azucareros locali, amici di Juan Carlos; quindi, si era diffuso il rumor, poi rivelatosi veritiero, che il re emerito fosse ad Abu Dhabi, ospite dei munifici principi degli Emirati. L’anziano ex monarca soggiornerebbe attualmente in una suite da 11mila euro a notte: una cifra che, visti i tempi, ha certo contribuito ad affossarne ulteriormente la popolarità.

Anche le modalità della fuga dalla Spagna hanno spiazzato in parecchi: cercando di dimostrare almeno un briciolo di interesse residuo per la protezione degli interessi nazionali, Juan Carlos ha scritto una lettera al figlio Filippo, in cui annunciava l’autoesilio con destinazione indeterminata: lo scopo doveva essere quello di alleggerire l’attuale re dal peso mediatico dell’inchiesta sugli illeciti paterni. In realtà, Filippo era da tempo ben consapevole che l’ingombrante figura del padre gli avrebbe creato non pochi imbarazzi: da tempo aveva già ritenuto opportuno smarcarsi dalle torbide operazioni finanziarie del genitore, rinunciando alla sua eredità e infine revocandogli la ricca pensione di sovrano emerito.

Come sembrano lontani i tempi in cui, dopo la morte di Francisco Franco, Juan Carlos, giovane di personalità e carisma, venne chiamato a riprendere il proprio posto sul trono dopo un lungo esilio (durante il quale aveva conosciuto e sposato la moglie Sofia di Grecia). Come appaiono sbiadite le immagini del re che parla alla nazione con tono fermo, deciso e rassicurante, comunicando di opporsi fermamente al golpe militare che nel 1981 prometteva di restaurare una dittatura militare. Quanto sfocano ormai i ricordi di una Spagna da allora in rapida ascesa sulla scena europea, tanto da conquistarsi l’ingresso nella CEE nel 1986, adottando l’euro dal 2002. Dieci anni prima, le Olimpiadi di Barcellona avevano certificato il ritorno nella comunità internazionale di un Paese a lungo isolato dallo spietato pseudo-fascismo franchista, ma improvvisamente diventato un simbolo di rampante modernità.

Juan Carlos, educato personalmente dal caudillo, era stato selezionato come il profilo ideale per il ristabilimento a tutti gli effetti della monarchia, strumento istituzionale preferito da Franco per evitare una guerra civile alla sua morte, nel 1975. Il suo presunto, maggiore conservatorismo rispetto ad altri suoi familiari accantonati per il ripristino del trono non gli aveva impedito di sovrintendere con successo alla promulgazione della Costituzione democratica del 1978, che difese, appunto, dai colpi di coda dei militari reazionari.

Chiacchierato per i suoi numerosi flirt sentimentali a scapito della composta e sofisticata regina Sofia, inopportuno protagonista di costosissimi safari di elefanti in Botswana, si dice che gli spagnoli gli abbiano perdonato tutto il perdonabile, proprio in considerazione dei suoi meriti durante la transizione democratica. Come è stato simpaticamente sottolineato (in primis dallo stesso Juan Carlos), il rischio è che ora ci si dimentichi delle capacità politiche dimostrate dal re emerito e si consegni al ricordo soprattutto delle generazioni più giovani l’immagine esclusiva del donnaiolo e del ladrone delle finanze pubbliche.

Un malinconico declino con vista sul futuro

Eppure: come può un simile profilo di anziano statista macchiare indelebilmente la propria immagine con storie di corruzione e opache operazioni finanziarie off-shore, finendo per contaminare, peraltro, anche la figura del figlio, che faticosamente cerca di mantenere nell’istituzione monarchica un senso rappresentativo della fragile unità nazionale spagnola? In realtà nessuno può rispondere a questa domanda: Juan Carlos in vecchiaia è forse rimasto “finalmente” vittima delle debolezze personali che l’hanno sempre caratterizzato, nonostante la sua caratura di primo livello nell’ambito del Novecento europeo.

Primo Capo di Stato straniero a pronunciare un discorso davanti al Parlamento italiano (nel 1998), Juan Carlos di Spagna ha infine corroso la propria credibilità nazionale e internazionale in nome di petrodollari sporchi e amicizie potenti ma non certo cristalline; la vicenda di gossip appare francamente marginale, in questo più ampio contesto. Forse il declino di Juan Carlos potrebbe essere solo il passaggio finale della transizione spagnola verso il Terzo Millennio, alla ricerca di quella chimera repubblicana inseguita dall’Ottocento e annegata nel sangue della Guerra degli anni Trenta.

Chissà se, nonostante gli sforzi, la buona fede e l’onorabilità di Filippo VI, una delle ultime monarchie d’Europa è giunta ormai al capolinea: come scriveva un giornalista spagnolo su la Repubblica qualche giorno fa, starà allo stesso Filippo, d’ora in poi, fare i conti con la scomoda eredità umana e politica del padre e restituire alla Corona un significato imprescindibile per una nazione tra le poche ancora a sinistra in Europa e che, ormai, con l’indice di gradimento della monarchia ai minimi storici, sembra tentata dall’emanciparsi dai suoi antichi simboli.

Ludovico Maremonti

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