G8 di Genova: vent’anni dopo per guardare al futuro
Fonte: contropiano.org

Il G8 di Genova ha rappresentato uno spartiacque per intere generazioni. Chi all’epoca c’era e oggi è tornato nel capoluogo ligure per ricordare quelle giornate, ce l’ha scritto in faccia e non si fa problemi a dirlo: c’è stato un prima e un dopo il G8.

Oggi c’è una canottiera bianca che sventola in Piazza Alimonda. E la chiesa da cui venne scattata la foto simbolo del G8 di Genova è aperta, come avrebbe voluto don Gallo, il prete comunista genovese scomparso nel 2013.
La foto è quella del ragazzo che la canottiera bianca la indossa: è ripreso di spalle e ha un estintore in mano, una pistola puntata davanti a sé. Vent’anni dopo sono tantissime le persone tornate in quel luogo per rendere omaggio a quello che la stampa internazionale all’epoca definì «il primo martire della lotta contro la globalizzazione».

Da quel torrido luglio del 2001, basta solamente dire G8 per far intendere che in realtà si sta parlando delle iniziative del controvertice al G8 di Genova. Non c’è neanche bisogno di dire la data, se si dice G8: si tratta di esattamente di vent’anni fa, ormai lo sanno in tanti. In tanti e di ogni età. E questa settimana, a Genova, ci sono diverse iniziative dedicate al ricordo.

Tuttavia, non si tratta soltanto di una serie di commemorazioni buone per consacrare alla storia, fossilizzandole, quelle giornate di buio pesto calato sulla nostra democrazia. Il tentativo del programma proposto dalle associazioni che si sono mobilitate per organizzare assemblee, dibattiti, presentazioni di libri e spettacoli teatrali nella città di Genova è quello invece di guardare avanti, per riprendere una parte di quei sogni infranti dai manganelli e dai colpi di pistola tra il 19 e il 21 luglio del 2001.

Sogni che una moltitudine di movimenti vuole riprendersi, perché i temi rivendicati all’epoca dal Movimento altermondialista sono più urgenti che mai: ambiente, campagne contro la guerra e a favore del disarmo, lotta alla precarietà e allo sfruttamento dei lavoratori in Italia come in tutto il mondo. Tutti temi che Vittorio Agnoletto, che nel 2001 era il direttore del Genoa Social Forum – l’organizzazione che teneva unite tutte le sigle di partito, di associazioni e di realtà autonome del Movimento dei movimenti – rivendica oggi con la stessa forza di vent’anni fa tuonando «Avevamo ragione noi» da Palazzo Ducale, oltre a denunciare il fatto che «nessuno ha mai chiesto scusa a Genova», a chi è stato ferito, arrestato o ucciso.

Ma riprendersi i sogni di vent’anni fa significa reinterpretarli con nuove chiavi di lettura, necessariamente più attuali. Per questo motivo, alle assemblee genovesi del 19 e 20 luglio hanno partecipato molti attivisti di quelle realtà che rappresentano l’eredità del Movimento altermondialista. Sigle nuove, abituate a un nuovo tipo di militanza, a un modo diverso di stare in piazza e a una strategia moderna di comunicazione – che pure trae la sua origine da esperienze come Indymedia, la base online del Movimento, che condusse un’informazione indipendente utilizzando per la prima volta il web.

Ci sono i Fridays for Future, l’Unione degli studenti; ma anche rappresentanti di Black Lives Matter e delle Ypj, le combattenti curde siriane, che conferiscono un carattere internazionale – e internazionalista – alla nuova mobilitazione prevista contro il G20 di Roma, che si terrà nel prossimo ottobre. Una contestazione a cui hanno già aderito sindacati, realtà ambientaliste e femministe, a indicare la necessità di creare nuovamente, come fu per il G8 del 2001, una comunione d’intenti, uno spazio orizzontale in cui condividere la lotta portando avanti ognuno le proprie istanze che, messe insieme, creano il fronte per un’unica battaglia: quella per un mondo più giusto.

La speranza si riattiva quando si nota la partecipazione. E tante persone sono a Genova, in questi giorni di ricordo. Provengono da tutta Italia: comitive di amici o gruppi organizzati dietro uno striscione (sono molti i giovani No Tav, scesi dalla Val di Susa). Ma arrivano anche da tutta Europa, da tutto il mondo. La presenza di Mark Covell – il giornalista inglese di Indymedia che venne aggredito alla scuola Diaz in una maniera così brutale da restare in coma per diversi giorni – e la bandiera degli zapatisti dell’EZLN in Piazza Alimonda sono solo alcuni esempi.

In moltissimi, a Genova, oggi parlano del G8, e non solo durante le iniziative ufficiali.
Si possono sentire, mentre camminano in via XX Settembre, le voci degli anziani che raccontano la brutalità delle cariche della polizia a ragazzi che nel 2001 non erano nati. E non è inusuale, in questi giorni, imbattersi in tavolate d’osteria in cui chi c’era ricorda davanti a una pletora di giovani attivisti desiderosi di sapere ancora, e sempre di più, quanto era oscuro il buio di quella notte della democrazia. Sapere affinché non accada mai più. Molte di queste persone sono di Genova, si sente dall’accento. E allora viene automatico pensare che quei discorsi non vengano riesumati solamente ogni 19, 20 e 21 luglio, anzi: per la ferita che rappresenta, probabilmente nel capoluogo ligure ogni giorno di ogni stagione qualcuno rievoca le violenze del 2001. Ma non solo quelle.

Una cosa che in molti hanno voluto evidenziare delle mobilitazioni di vent’anni fa, infatti, è il fatto che, oltre alla paura, durante quelle giornate furono anche altri i sentimenti che animarono le proteste. Il corteo degli altermondialisti era pieno «di allegria e speranza, molto variegato con ambientalisti, pacifisti da tutto il mondo e compagni di tutti i colori», ha dichiarato in questi giorni al quotidiano ligure Il Secolo XIX l’attore e regista Ricky Tognazzi, che all’epoca documentò i massacri alla scuola Armando Diaz, avvenuti la notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001.

Ricordare quell’entusiasmo, tradito dalla violenza delle forze dell’ordine, significa rivendicare la forza dello slogan più in voga all’epoca: «Voi G8, noi 6 miliardi». Un modo di fare presente, ieri come oggi, che il mondo è dei popoli, un po’ come la famosa frase del film La haine: «Le monde est à nous». Non è un caso che queste parole si trovino scritte sulle magliette e sulla pelle di molti giovani che in questa settimana hanno raggiunto Genova, magari per la prima volta. Perché il G8 del 2001 ha spezzato un Movimento, ma non lo ha ucciso. E ha insegnato ai giovani l’importanza di tornare nelle piazze e di restarci, oggi più che mai. Perché, ancora vent’anni dopo, «un mondo diverso è possibile».

Giovanni Esperti

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