L’EZLN (Ejército Zapatista de Liberación Nacional) ha da pochi giorni rilasciato un comunicato che riveste un’importanza storica per le cronache politiche messicane degli ultimi decenni. Dopo 22 anni dalla loro nascita, gli zapatisti hanno deciso di presentarsi alle elezioni politiche del 2018.

Le informazioni rilasciate dall’EZLN sono ancora vaghe: non si sa se ci saranno sovvenzionamenti ufficiali per la campagna elettorale e se sarà presentata una candidatura indipendente piuttosto che l’ingresso in una lista già esistente. L’unica cosa certa è che la comandancia dell’EZLN presenterà una donna come candidata, sostenuta anche dal Congreso Nacional Indígena (CNI), la tavola rotonda delle rappresentanze indigene di tutto il paese la cui quinta e ultima sessione si è chiusa martedì scorso a San Cristóbal de las Casas, in Chiapas.

«Ci consulteremo in ciascuno dei nostri territori per nominare una donna indigena che lotti per conto del CNI e dell’EZLN nel processo elettorale del 2018 per la presidenza di questo paese» ha chiarito una nota del testo di chiusura del congresso.

La decisione di proporsi per la prima volta come soggetto politico istituzionale segna una nuova fase della ventennale lotta indigenista in Chiapas. Dopo lunghi periodi di battaglie condotte contro il governo federale, l’EZLN ha deciso di percorrere un nuovo sentiero nel percorso dell’autodeterminazione che ha portato lo zapatismo, dal 1 gennaio 1994 ad oggi, ad essere ben più che un movimento clandestino armato.

Quest’ultima, drastica decisione si inserisce in un quadro di cambiamenti profondi nella storia dell’EZLN: nel maggio del 2014, era stata dichiarata ufficialmente conclusa la parabola del Subcomandante Marcos, il quale abbracciò poi la nuova identità di Galeano, consegnando i vertici della comandancia al Subcomandante Moisés.
Nonostante l’intenzione di aspirare ad una carica pubblica, i portavoce zapatisti hanno ribadito di essere unicamente indirizzati verso la possibilità di rappresentare concretamente, ed ora anche istituzionalmente, i popoli delle varie etnie che compongono il Chiapas, e di non venir dunque meno al principio del “tutto per tutti, niente per noi” che ha contraddistinto il movimento negli anni.

Affermiamo che la nostra lotta non è per il potere, che non cerchiamo, ma chiameremo le popolazioni indigene e la società civile a organizzarsi per fermare questa distruzione e rafforzarci nella nostra resistenza e ribellione.

Il Messico è da oltre vent’anni un paese in cui la forbice della disuguaglianza sociale è tra le più critiche al mondo, con circa il 21% della ricchezza nazionale concentrata nelle mani dell’1% della popolazione (Oxfam-México). Il 15% dei messicani appartiene alle oltre 60 etnie indigene sopravvissute a oltre 500 anni di colonialismo, la cui quasi totalità vive però in condizioni di estrema povertà. La composizione del calderone etnico messicano presenta percentuali di indigenidad molto alte soprattutto al sud, nei cui territori chiapanechi moltissimi indios di origine tzotzil, ch’ol, tojolabal, zoque, mochó, lacandona, mam e tzeltal hanno abbracciato le istanze rivoluzionarie dello zapatismo.

Pur non avendo mai esortato il popolo a non recarsi alle urne, l’EZLN ha sempre mantenuto un rapporto estremamente critico nei confronti dei personaggi della classe politica, da Carlos Salinas de Gortari (presidente ai tempi della prima insurrezione) all’attuale presidente Enrique Peña Nieto, passando per alcuni rappresentanti della sinistra riformista come Andrés Manuel López Obrador, apostrofato e definito “canaglia” dal Subcomandante Marcos.

Dal gennaio 1994, immediatamente dopo la ratifica del NAFTA (trattato di libero scambio nordamericano), l’insurgencia indigena si protrae e continua a rappresentare una realtà profondamente radicata nel tessuto sociale del Chiapas, la parte più povera e abbandonata del paese, in cui lo zapatismo ha tentato di ridefinire assetti ed equilibri politici. Qui, gli organi dello stato federale sono stati rovesciati e rimpiazzati dall’autogestione indigenista e dal socialismo libertario di chi, nel nome, rievoca la più importante rivoluzione campesina della storia, e, nei fatti, sta per plasmare secondo nuove forme l’impegno nei confronti dei popoli del Chiapas.

Gli oltre 500 delegati indigeni arrivati a San Cristóbal de las Casas da ogni angolo del Messico per il quinto raduno nazionale del CNI hanno avallato la decisione dei vertici della comandancia zapatista di dare una nuova vita istituzionale alla propria lotta politica:

È tempo per la dignità ribelle di costruire una nuova nazione e di rinforzare il potere dal basso e dalla sinistra anticapitalista, affinché paghino i colpevoli del dolore dei popoli di questo Messico multicolore.

Cristiano Capuano

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