Sembrano lontani i tempi in cui – poco meno di due lustri fa – il Brasile veniva etichettato come il motore del Sudamerica, viste le straordinarie prospettive economiche del paese, che andava incontro, fra le altre cose, all’organizzazione di ben due eventi sportivi di portata planetaria: il Mondiale di calcio e le Olimpiadi.
Il primo si è già verificato, e tutto sommato poteva andare peggio, date le tensioni sociali che hanno accompagnato i mesi precedenti la manifestazione. Ma poteva andare anche molto meglio, soprattutto nell’ottica dello sviluppo economico di uno Stato ancora tormentato dalle disuguaglianze sociali e dalla corruzione.
Gli ultimi scandali riguardano proprio la presidenta, al secolo Dilma Vana Rousseff Linhares, sospesa per 180 giorni dal suo incarico di governo a seguito delle accuse di manipolazione dei conti pubblici al fine di nascondere al popolo del Brasile il crescente disavanzo di bilancio.
La presidentessa ha naturalmente respinto tutte le accuse, ma il Senato non si è lasciato convincere, e lo scorso marzo ha approvato l’impeachment di Dilma Rousseff con 55 voti favorevoli e 22 contrari.
Come in un film già visto – e ritrasmesso ciclicamente sulle emittenti televisive di ogni Stato, Italia compresa – Dilma ha definito la messa in stato d’accusa da parte della Suprema Corte brasiliana alla stregua di un golpe.
Eppure la posizione della presidentessa era in bilico da tempo, visto anche lo scandalo della Petrobras, la compagnia petrolifera brasiliana, i cui manager hanno ammesso di aver agito in collaborazione con esponenti della politica, fra cui i presidenti di Camera e Senato, per ricevere tangenti da appaltatori privati in cambio della conclusione di affari.
Queste ultime indagini hanno colpito anche i membri dello staff della Rousseff, come l’ex ministro delle finanze ed ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, il che, dal punto di vista dell’immagine, si è rivelato un durissimo colpo.
Tornando all’ipotesi di golpe – questa volta interno alla stessa compagine di governo –, il quotidiano Folha de São Paulo ha recentemente riportato delle intercettazioni risalenti al mese di marzo fra Romero Jucá, leader del PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro) ed ex alleato di governo della Rousseff, e Sergio Machado, alto dirigente di una società consociata alla Petrobras, la Transpetro, che si dicevano convinti che una sospensione della presidentessa avrebbe potuto favorire l’insabbiamento delle accuse a loro carico, dal momento che, in uno scenario simile, sarebbe stato proprio il PMDB a rilevare il potere, a discapito del Partido dos Trabalhadores.
A completare il preoccupante scenario governativo c’è un ultimo dato, che vede la poltrona della presidentessa sospesa occupata attualmente dal Michel Temer, esponente del PMDB, a sua volta coinvolto in una sordida vicenda relativa all’accumulo di proventi illegittimi in veste di procuratore dello Stato di San Paolo. A ciò si aggiunga un dato oggettivo ulteriore e per certi versi più significativo, ovverosia la politica di Dilma Rousseff, rivelatasi fallimentare sotto diversi aspetti: sociale, economico, sanitario, energetico e ambientale.
Un quadro decisamente sconsolante per il nuovo Brasile, questo gigante dai piedi d’argilla che non ha saputo mantenere i buoni propositi sbandierati dai suoi governanti, sostenuti in massa da una popolazione sedotta e abbandonata da una classe politica che, tanto per cambiare, ha tradito le speranze dei suoi sostenitori.
Carlo Rombolà