“E questa, signori, lo sappiamo, è una menzogna nera come la pelle di Tom Robinson, una menzogna sulla quale non c’è nemmeno bisogno che io insista. Voi conoscete la verità, e la verità è questa: alcuni negri mentono, alcuni negri sono immorali, alcuni negri non possono essere lasciati accanto alle donne, nere o bianche che siano. Ma questa è una verità che si può applicare a tutta la razza umana e non a una particolare razza di uomini.”

L’arringa in tribunale di Atticus Finch, paladino ed emblema di valori morali come quelli di uguaglianza e giustizia, è forse uno dei momenti più alti de “Il buio oltre la siepe”, romanzo cult della scrittrice statunitense Harper Lee.

Il libro fu pubblicato nel 1960 e l’anno successivo vinse il premio Pulitzer. Un successo inaspettato e insperato per la scrittrice, convinta che in pochi mesi il suo libro sarebbe finito nel dimenticatoio. E, invece, To Kill a Mockingbird(titolo originale) ancora oggi vende centinaia di copie poiché la storia che racconta attraversa gli anni e le generazioni restando sempre (tristemente) attuale.

Ambientato in Alabama agli inizi degli anni ‘30, la storia viene raccontata in prima persona da Scout, ragazzina orfana di madre, che vive con il padre e il fratello Jem. Il padre Atticus è avvocato. La vicenda si svolge nel corso di tre anni e segue le vicissitudini e le avventure dei due fratellini con il loro amico Dill (personaggio ispirato a Truman Capote). I tre ragazzi sono attratti dal misterioso vicino di casa Boo (Arthur Radley). La loro vita viene sconvolta quando Tom Robinson, ragazzo di colore, viene ingiustamente accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca, Mayella Ewell. Atticus, il padre, è incaricato di difenderlo e, nonostante riuscirà a dimostrarne l’innocenza e a provare che la stessa violenza è opera di Bob Ewell, padre di Mayella, la giuria condannerà comunque Tom. Bob Ewell, inoltre, cercerà di uccidere Jem e Scout salvati da Boo.

La vicenda, seppur ambientata negli anni 30, ben si inserisce nel periodo in cui viene pubblicato il romanzo.

Gli anni Sessanta rappresentano un’importante pagina di storia per la lotta dei neri d’America e per la loro emancipazione. Nell’immediato dopoguerra la segregazione razziale era uno dei problemi più scottanti degli Stati Uniti: in qualsiasi attività vigeva una netta separazione tra bianchi e neri. Alcuni episodi hanno segnato fortemente le coscienze e cambiato per sempre il mondo a cui siamo abituati. Il rifiuto di Rosa Parks di cedere il posto su un autobus a un bianco e il suo successivo arresto. Il linciaggio di Emmett Till che finì massacrato da un branco di uomini bianchi per un fischio di apprezzamento ad una donna bianca. Il caso dei nove adolescenti afroamericani (gli “Scottsboro Boys”) accusati ingiustamente di violenza sessuale nei confronti di due giovani prostitute bianche. Dunque, una lunga serie di casi che portarono a manifestazioni e atti di protesta, in virtù del superamento di qualsiasi forma di razzismo e pregiudizio legata al colore della pelle.

“Il buio oltre la siepe” diventa nient’altro che un potente manifesto che porta avanti un messaggio di tolleranza e rottura di stereotipi. Perché in qualche modo rompe e rovescia tutte le convenzioni. Ad iniziare dalla sua protagonista, Scout, che rifiuta di rispettare qualsiasi inquadramento di genere e costruisce la sua identità in base a ciò che lei stessa sceglie, indipendentemente dal fatto di essere una “signorina”.

Il ribaltamento si esprime anche nel definire i ruoli tradizionali di “buono” e “cattivo”. Boo, lo “strano”, è l’uomo di cuore che salva la vita dei due ragazzini. Tom Robinson, il ragazzo di colore, è l’uomo perbene che aiuta una donna senza chiedere nulla in cambio. Bob Ewell, il “bianco”, colui che dovrebbe essere “normale”, è il vero cattivo.

“Il buio oltre la siepe” è in tal senso un romanzo rivoluzionario, che si fa veicolo di una critica sociale sottile e perforante. È, a tutti gli effetti, un romanzo di formazione che narra il passaggio dall’innocenza all’età della consapevolezza. Tal passaggio avviene quando la protagonista tocca con mano l’ingiustizia: Scout, che narra in prima persona, conserva quello sguardo attento e ingenuo tipico dei bambini; lei ed il fratello saranno testimoni silenziosi e capiranno quanto possa essere invalidante il peso di un pregiudizio.

Il concetto di “pregiudizio” è narrato in forma più ampia possibile, non facendo riferimento solo a quello che nasce e si alimenta dal colore della pelle, ma anche al pregiudizio verso chi viene considerato “strano” e “diverso”. Gli stessi bambini in un primo momento temeranno il vicino Boo.

E, dunque, il modo in cui si è scelto di rendere il titolo in italiano non è casuale.

Quel “buio” oltre la siepe non fa altro che rappresentare l’ignoto e, consequenzialmente, la paura che questo genera. La “siepe” è lo spazio delimitato in cui siamo al sicuro, in cui il nostro io trova modo di esprimersi e si confina. Oltre la siepe c’è l’altro, il diverso. E l’alterità è ciò che genera paura e turbamento.

Nel libro il tutto si esprime nell’ambito circoscritto di una cittadina inventata, ma la metafora può benissimo essere applicata ed estesa al mondo in cui viviamo. Oggi, il “buio oltre la siepe” è quello che si esprime al di là dei confini nazionali.

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Atticus Finch e Tom Robinson in una scena del film (1962) tratto dal libro.

“Ma c’è una cosa, nel nostro paese, di fronte alla quale tutti gli uomini furono davvero creati eguali: un’istituzione umana che fa di un povero l’eguale di Rockefeller, di uno stupido l’eguale di Einstein e di un ignorante l’eguale di un rettore di università. Questa istituzione, signori, è il tribunale. (…) Nei nostri tribunali si attua il principio secondo cui tutti gli uomini furono creati eguali.”

Però lo stesso Atticus Finch mentre pronuncia queste parole è ben consapevole di una verità. La giustizia è un concetto astratto e come tale può avere una valenza pressoché perfetta e imparziale. La giustizia, però, è fatta dagli uomini e questo genera una relatività che trascende ogni oggettività universalmente data e riconosciuta. Anche di fronte ad un qualcosa di chiaro e limpido, trasparente perfino agli occhi di un bambino. Un bambino che non ha strutture mentali alterate dal pregiudizio e dalle convenzioni. Un bambino che vede senza inganno ciò che ha davanti: vede l’innocenza di Tom Robinson che dalla giuria, invece, viene giudicato colpevole. Chiuso in gabbia come un uccellino e poi ucciso. Il significato del titolo originale, “To kill a mockingbird”, viene largamente sviscerato nel corso del libro: la crudeltà di uccidere un merlo, creatura indifesa (mimo settentrionale nella versione originale), è la metafora lampante della morte di Tom.

Ancora oggi, tutto si risolve nella vitale differenza tra chi sia effettivamente l’aguzzino e chi fa comodo credere che possa esserlo.

C’è una verità che a volte sembra sfuggire. Lì fuori è pieno di lupi: e il lupo può nascondersi anche sotto un’uniforme, dietro un nome rispettabile o la stessa nazionalità.

La violenza è violenza e chi la commette non appartiene ad una ben chiara razza di uomini. Non è possibile ricavare l’identikit di uno stupratore dal colore della pelle, dallo status sociale e dal contesto in cui agisce. La violenza può giungere da ogni luogo, non è possibile negarlo o trovare attenuanti in base alle circostanze. Non può esserci un peso diverso attribuito a parole o azioni a seconda della bocca da cui escono.

La giustizia deve fare il suo corso, non può essere offuscata da stupide paure o da secolari pregiudizi.

Per questo motivo “Il buio oltre la siepe” è un capolavoro che merita di essere letto e riletto, per lo straordinario messaggio di cui si fa portavoce. Nella speranza che quel buio, un giorno, possa davvero essere rischiarato.

Vaia Vanessa

Vanessa Vaia nasce a Santa Maria Capua Vetere il 20/07/93. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Classico, si iscrive a "Scienze e Tecnologie della comunicazione" all'università la Sapienza di Roma. Si laurea con una tesi sulle nuove pratiche di narrazione e fruizione delle serie televisive "Game of Series".

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