J. D. Salinger, «Il giovane Holden»: il '900 e il malessere generazionale
J. D. Salinger, «Il giovane Holden» (SlideShare)

Il newyorkese Jerome David Salinger fu uno degli scrittori più celebri del ‘900 sia per la sua produzione letteraria sia a causa dell’aura di mistero che contornò la sua vita solitaria fino al suo decesso nel gennaio del 2010 a Cornish, nel New Hampshire. Inizialmente le avventure del giovane Holden Caulfield furono pubblicate sul periodico The New Yorker sotto forma di racconti, ma nel luglio del 1951, considerato l’enorme successo riscosso, furono raccolti e pubblicati in un unico romanzo di formazione: The Catcher in the Rye (titolo italiano Il giovane Holden, a causa dell’intraducibilità del titolo originale). Difatti il titolo originale del romanzo – letteralmente «il coglitore nella segale» – derivò dalla strofa d’una famosa canzone scozzese di Robert Burns: Comin’ Trough the Rye; ed evocava idilliche immagini bucoliche all’orecchio delle lettrici e dei lettori statunitensi.

J. D. Salinger condensò nel suo capolavoro il viscerale malessere generazionale sorto dopo la fine della seconda guerra mondiale. L’irrequietezza e la frustrazione giovanile, l’angoscia esistenziale scaturita anche dal passaggio traumatico all’età adulta, la rabbia e il disprezzo verso se stessi, verso le istituzioni, verso la stordente routine, verso l’ipocrita moralismo e il dilagante conformismo sociale e infine il desiderio indomabile e misticheggiante d’evadere, caratterizzarono l’animo in pena del giovane Holden e fecero di conseguenza dello scrittore americano uno degli ispiratori della beat generation e finanche della generazione del ’68.

Dunque, il giovane Holden Caulfield divenne un mito popolare e proverbiale in tutto il mondo: l’eroe eponimo d’intere generazioni.

«Voglio essere capito dal mio paese, ma se non sarò capito, che fare? Attraverserò il paese natale in disparte come una pioggia obliqua d’estate». (V. Majakovskij)

giovane Holden
J. D. Salinger (Metropolitan Magazine)

Il giovane Holden: weltanschauung e stile letterario

Holden Caulfield è ovviamente il protagonista del romanzo, ma al contempo è la voce narrante a cui viene affidato il compito di descrivere se stesso e le proprie avventure. Il suo tortuoso percorso appare come un lungo sogno: una vera e propria odissea.

Egli è un sedicenne estremamente sensibile, riottoso e ardimentoso, e ama esprimersi adoperando un linguaggio gergale, disinibito e colmo di metafore e similitudini. Holden studia presso l’istituto Pencey ad Agerstown, in Pennsylvania, ma viene espulso a causa del suo insufficiente rendimento scolastico. È la quarta volta che viene estromesso da un college prestigioso in cui la sua benestante famiglia gli ha intimato di andare, purché fosse lontano dalla città natale. Difatti il profondo senso d’inettitudine ch’egli vive – ulteriormente alimentato da ambienti accademici imbevuti di elitismo e vanagloria – di riflesso accresce la propria idiosincrasia verso le istituzioni e verso l’impietoso mondo degli adulti.

Dunque, da tale rottura ha inizio il viaggio del giovane newyorkese: oscillante tra la paura paralizzante della morte e l’indomabile volontà d’una nuova vita.  

giovane Holden
J. D. Salinger, «Il giovane Holden» (Teachers Pay Teachers)

Citando W. Bion: «Ci si fa un guscio sufficiente a proteggerci poi ci si deve ribellare contro il guscio perché non solo ci protegge, ma può anche imprigionarci».

Adolescenza è anzitutto anelito alla libertà e all’indipendenza individuale, ragion per cui Holden anziché rientrare subito presso l’abitazione dei genitori, decide di errare per gli spazi della sua New York. Holden si ribella e fugge, procedendo per interruzioni e concatenamenti. In primis si distacca violentemente dall’etica arrivista-istituzionale, in quanto generatrice di narcisisti e ipocriti farabutti per i quali è rilevante soltanto caldeggiare chi possiede soldi e potere. In secundis dall’opposizione nei riguardi della repulsione altrui e delle norme prestabilite, ne deriva una ricerca spasmodica della propria soggettività attraverso una fame d’autenticità che gli procuri compiacenza e un disgusto assolutizzato verso l’ignoto esistenziale.

Dunque, il giovane Holden durante il suo onirico vagare cerca di colmare a tutti i costi la distanza ontologica tra il proprio sé mancante e l’obiectum salvifico originato dall’idealizzazione della realtà. Il non poter esperire ciò lo conduce inevitabilmente a una lancinante delusione: egli percepisce un’identità costitutivamente impedita. La sua disperazione è motivata dalla constatazione che la possibilità dell’io si traduce necessariamente in una impossibilità. L’io è posto dinanzi al tracollo esistenziale, è condannato a una malattia mortale, che consiste nel vivere asfissiantemente e quotidianamente la propria incapacità di vivere, nel vivere la morte di se stessi.

È come imprigionato nella transizione verso il riconoscimento di sé: in sospeso tra i ricordi sommessamente riappacificanti dell’involucro materno e la rintronante brutalità del mondo degli adulti. È maledettamente impressionato da tutto ciò, pertanto la sua mente è pregna di stimoli confusi tra sogno, fantasia, realtà. Holden raminga tra gli interstizi di questa inconciliabilità tra totalità e individuo, si ritrova in territori ontologicamente ibridi sospesi tra reale e immaginario. Luoghi in cui si verificano le crepe e le riconfigurazioni dell’essere, dove il tempo assume connotazioni diverse, dove spesso la sublimità raggiunge altezze vertiginose, dove l’abisso raggiunge profondità insondabili.

È l’adolescente di fronte all’ignoto, che non può conoscere la risposta ad alcune domande: Chi sono? Dove sono diretto? Cosa sto facendo?. Dimodoché non può sapere che forse la risposta si radica in un unico quesito: Da dove vengo?.

giovane Holden
Egon Schiele (Barnebys)

La condizione del giovane Holden è riassumibile con le parole di E. Cioran: «Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza marciapiedi».

Il lutto adolescenziale dell’illusione d’una speciale verità etico-estetica lo priva del sogno d’un altrove alternativo. Perciò il rifiuto emarginante e la tirannica auto-mortificazione rendono il suo tragitto lastricato d’ambiguità, contraddizioni, traumi e dissociazioni.

In virtù di ciò il romanzo è divisibile in molteplici micro-sequenze narrative, riflessive e dialogiche alternate a brevi e continue analessi (flashbacks). Nonostante il narratore-protagonista discorra al presente, l’intero racconto è strutturato sottoforma d’analessi: con un balzo nel tempo si rivivono gli eventi verificatisi in un fine settimana che precede il Natale.

Il giovane Holden (J. D. Salinger) in tal modo altera la cognizione temporale della lettrice e del lettore, di conseguenza si crea un effetto di suspance e d’attesa.

Il narratore-protagonista durante le sue dispersive peripezie tra night club e Central Park nell’opulenta America degli anni ’50, illustra – con un misto di tenerezza e menefreghismo – i membri della propria famiglia, i suoi mentori nel bene e nel male come il vecchio Spencer e il signor Antolini, le sue vecchie fiamme come Jane e Sally e i suoi compagni di (dis-)avventura come Ackley e Stradlater. I genitori, di cui parla pochissimo, sono abbienti, inoltre ha due fratelli e una sorella minore: il fratello maggiore D. B. è un affermato scrittore cinematografico a Hollywood mentre l’altro fratello, Allie, è morto di leucemia, infine c’è l’adorata «vecchia» Phoebe che con la sua spontaneità infantile lo aiuta a far ritorno a casa e terminare l’odissea. Difatti la sorella lo rimette in una prospettiva temporale di costruzione di sé e trovano tra loro un’intesa che li svincola dal passato e li pone verso un futuro promettente. Ogni mancanza rispetto a un soddisfacimento implica una tensione psichico-pulsionale, una quota di frustrazione, e quindi la tendenza pulsionale è quella di un ritorno a una condizione di assenza di conflitti.

C. D. Friedrich ”Le tre età dell’uomo” (Wikipedia)

Holden sceglie la speranza nella continuità di sé, e sceglie la solidarietà generazionale, elemento che dà a un sentimento tra pari il potenziale per una vera esperienza reciprocamente trasformativa.

Il giovane Holden scruta in Phoebe il riflesso di se stesso: un doppio di sé in perenne fuga disposto persino a sottrarsi dalle cose essenziali della vita, e, dunque, in quanto «coglitore nella segale» afferra con amore entrambi sull’orlo del precipizio.

Dunque, se la vita è identificabile come essenza unitaria proprio a partire dal suo procedere dialettico per crisi, contrasti, negazioni e creazione di nuovi equilibri, necessariamente per conservarne l’unità, bisogna riconoscerne la natura anti-logica. Il contrasto, la crisi, l’errore, la caduta situano il vivente in un presente che dischiude svolgimenti imprevedibili e improvvisi. L’interrompersi repentino del normale procedere del corso vitale non solo ristruttura profondamente le relazioni con l’esterno ma fonda e costruisce l’identità del vivente stesso che trova nell’inquietudine, nel rivolgimento e nel divenire, la sua dimensione più propria. Soltanto facendo esperienza della dimensione patica, della possibilità dell’annullamento, il vivente può ricavare dalla morte costante, dalla caducità del suo stesso essere e dalla instabilità dei suoi atti le risorse per trasformarsi e divenire, ritrovarsi e rinascere.

Anelare alla vita comporta attraversare la propria disintegrazione ch’è in se stessa già il suo opposto: una forza d’integrazione.

L’esplorazione del giovane Holden in bilico tra verità e invenzione ha innescato quel processo che riconnette e riconcilia una congerie di parti tra loro disconnesse, scatenando combinazioni in transito, rimescolando soggettive proiezioni per ritrovare una verità seppur pro tempore  – tra sé e l’Altro, fra sé e l’oggetto della realtà nell’irrefrenabile movimento vitale, contro la distruttività e l’inconsapevolezza dell’agire figli della caducità umana.

In realtà l’odissea del giovane Holden non è terminata, anche se ammalatosi. Molto probabilmente la rabbia e la ribellione sono per l’adolescente, come per il bambino, come per ogni individuo, l’unica raison d’être che possa concedere la concreta possibilità di vivere una vita più autentica e più giusta.

Nonostante ciò l’epilogo del romanzo di J. D Salinger lascia intuire che al di là dell’inarrestabile auto-trascendenza di sé permane un profondo senso d’inadeguatezza, d’incompletezza.

Il giovane Holden (Medium)

«Un sacco di gente, specie questo psicanalista che c’è qui, continua a chiedermi se quando tornerò a scuola a settembre ho intenzione d’impegnarmi. È una domanda talmente stupida, secondo me. Nel senso, come fa uno a sapere quello che farà finché non lo fa? La risposta è: non lo sa. Io penso di saperlo, ma alla fine che ne so? Giuro che è proprio una domanda stupida. […] Alla fine so soltanto che tutti quelli di cui ho parlato un po’ mi mancano. È strano. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, poi comincia a mancarvi chiunque».

Gianmario Sabini

Gianmario Sabini
Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Achille Lauro e Israele. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

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