La sconfitta casalinga di ieri sera contro l’Atalanta, costata l’eliminazione dalla Coppa Italia, è stata la dimostrazione di un Napoli a due facce: inarrestabile in Campionato, incapace nelle coppe. Sarri parla di una sorta di “disadattamento” del Napoli alle competizioni ad eliminazione diretta. La verità è che questa enigmaticità che caratterizza l’atteggiamento dei partenopei nelle coppe va individuata in varie cause, che vanno da una riluttanza nel voler allungare la lista dei giocatori, ad uno scarso, e pertanto inefficace, utilizzo del turnover.

Il mercato estivo era stato improntato su una attenta strategia, individuabile nella volontà di mantenere un certo livello di equilibrio, in campo e all’interno dello spogliatoio. La finalità sottesa all’applicazione di tale strategia era, chiaramente, la vittoria dello Scudetto, raggiungibile anche con una rosa unita e compatta. Erano stati effettuati pochi acquisti mirati, dotati delle giuste caratteristiche per essere inseriti nel sistema di gioco sarriano e privi di un carattere difficile che avrebbe potuto mettere a soqquadro l’ambiente sereno che si respirava a Castelvolturno. Innesti come Mario Rui e Ounas ed arrivi meno recenti come Rog e Diawara avrebbero dovuto rappresentare le riserve adatte a sostituire giocatori difficilmente rimovibili dal terreno di gioco come Goulham, Callejon, Hamsik e Jorginho. Mentre altri vecchi acquisti come Maksimovic, Tonelli e Giaccherini avrebbero dovuto proseguire nel loro percorso graduale di inserimento. In altre parole, in linea con ogni altra squadra che lotti per lo Scudetto e, allo stesso tempo, impegnata in un totale di tre competizioni, si era dotato ciascun giocatore di un proprio “personale” sostituto, essendo chiaro che nella ricetta per la vittoria c’è bisogno anche di una rosa numerosa, oltre che unita.

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Tuttavia, ciascuna delle nuove pedine menzionate ha fallito, sinora, nel suo processo di adattamento. O meglio, si potrebbe dire che Sarri non è riuscito ad integrarli nel suo sistema di gioco come sperava in estate (o, addirittura, si potrebbe dire che non ha voluto prendersi il rischio di inserirli). La conseguenza è che il tecnico toscano si è trovato “costretto” a dover impiegare sempre gli stessi 11/13 giocatori capaci di offrirgli più garanzie; contestualmente, ha utilizzato sempre di meno le seconde linee, che, al di fuori delle partitelle in allenamento, non hanno proseguito nel loro cammino di integrazione, apparendo pochissime volte in occasioni ufficiali. L’oggetto misterioso Maksimovic (costato 25 milioni ed acquistato al termine di una pazzesca telenovela tra Napoli e Toro), l’enigmatico Tonelli (lo scorso anno impiegato con frequenza, quest’anno nemmeno una volta) e l’ormai invisibile Giaccherini (20 presenze in due anni) sono esempi che la dicono lunga sul punto. Per di più, da un lato, alcune riserve giocoforza utilizzate, come Mario Rui in luogo dell’infortunato Ghoulam, hanno convinto poco; dall’altro lato, l’immobilismo estivo sul mercato (in entrata) offensivo ha fatto sentire il suo peso con l’ennesimo infortunio di Milik, che ha lasciato Mertens come unico centravanti (se tale può essere definito) a disposizione del Napoli.

Eppure la marcia in campionato sembra straordinaria. E la ragione di ciò sta nel fatto che gli interpreti della corsa scudetto sono gli 11/13 titolarissimi, coloro che, conoscendo a memoria il sistema di gioco e offrendo maggiori garanzie, difficilmente vengono sacrificati. Purtroppo, gli 11/13 titolarissimi sono gli stessi che, insieme agli altri compagni, hanno iniziato una preparazione estiva in netto anticipo al fine di affrontare i preliminari di Champions e che, pertanto, stanno verosimilmente subendo un inevitabile calo fisico che non gli consente di essere impiegati anche nelle partite di coppa infrasettimanali. A tale calo fisico, tuttavia, non si è riusciti a trovare un rimedio efficace, in quanto le seconde linee non si sono dimostrate all’altezza, vuoi per il fatto di giocare poco, vuoi per il fatto di non aver recepito correttamente i meccanismi di gioco. È qui che risiede la radice dell’eliminazione dalle due competizioni.

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Con 13 giocatori una squadra non può concentrarsi contemporaneamente su tre competizioni parallele, oltre a non essere dotata delle energie fisiche necessarie per farlo. A meno che due delle tre competizioni non vengano ritenute di minore importanza rispetto all’altra (il campionato). Ma questo, contrariamente a quanto detto da tutti, non è dato saperlo, dal momento che non è possibile entrare nella mente dell’allenatore e di ciascun giocatore. Ciò che è sicuro è che le seconde linee del Napoli non sono (ancora) pronte, e che per tale motivo il turnover viene applicato poco e, di conseguenza, produce scarsi risultati. Preoccupante se si pensa che ormai Sarri sia giunto al suo terzo anno napoletano e che gli acquisti da lui presumibilmente indicati stiano tuttora cercando di inserirsi nella sua macchina da gioco, conosciuta ormai a memoria dai titolarissimi.

La conferma dell’inadeguatezza delle riserve e del turnover si è avuta ieri sera al San Paolo: un primo tempo a ritmi normali, una ripresa imbarazzante fatta di inconsistenza offensiva, alla quale non sono riusciti a porre rimedio né Callejon, impiegato dall’inizio come falso nueve, né i due assi Mertens e Insigne, subentrati a partita in corso. Segno che, forse, anche loro hanno bisogno di maggiore riposo e di “godere” dei benefici mentali e fisici della rotazione. A questo punto c’è chi comincia, giustamente, a rimpiangere le partenze estive di Pavoletti e Zapata, giocatori forti fisicamente e che, seppur non fondamentali, avrebbero potuto apportare un maggiore aiuto al reparto offensivo, specie nel corso di partite bloccate come quelle contro la Juventus o l’Inter, dove la macchina sarriana, e con essa le giocate di Mertens e Insigne, sono state neutralizzate dalle marcature e dal pressing asfissiante degli avversari. Neanche l’arrivo (a gennaio o a giugno) di Inglese dal Chievo sembra far tirare un sospiro di sollievo ai tifosi, considerando che, al di là della pressione legata al fatto di dover giocare in una grande piazza, difficilmente il giocatore verrà impiegato con regolarità, visto il lungo periodo di panca che ciascuno dei nuovi acquisti ha dovuto affrontare prima di vedere il campo.

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Insomma, il rapporto del Napoli con le coppe non è un rapporto complicato, né si può dire che i partenopei soffrano la pressione dell’eliminazione diretta. Più che altro, il “rapporto difficile” con le coppe è frutto di una errata o inconsistente gestione dei giocatori a disposizione, che a dirla tutta non sono pochi. Non si vuole mettere qui in dubbio la bravura e la classe di Maurizio Sarri, un allenatore capace di risollevare una squadra frastornata dal fallimento in campionato e dalla mancata qualificazione alla Champions del 2015, di valorizzare gli uomini a disposizione nel migliore dei modi e di fare apprezzare il suo fantastico gioco in tutta Europa. Tuttavia, si può dire che la doppia faccia del Napoli è il risultato, in parte della impossibilità di fare affidamento per tutta la stagione sulle stesse 13 pedine (peraltro, ciò che si criticava a Mazzarri), in altra parte della inaffidabilità di molte delle seconde linee.

La corsa scudetto non è stata sinora intaccata dai problemi accennati. Ma è chiaro che laddove dovessero aversi delle ripercussioni anche sul campionato, più di qualche tifoso comincerebbe a sollevare dei dubbi sulla figura del tecnico toscano. Questo il motivo per cui il mercato di gennaio ci dirà tano sulle sue reali intenzioni. Anche perché la sfida con il Lipsia valida per i sedicesimi di finale di Europa League si avvicina. E tutti preferirebbero evitare l’ennesima eliminazione.

 

Amedeo Polichetti

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