
L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio è una storia di amore, maternità e abbandono. Un mix di sentimenti, sapori, odori e memorie che prendono corpo nella vita di una ragazzina di tredici anni e hanno il potere di infilarsi nelle corde più profonde dell’anima. “C’è una scrittrice unica in Italia. Per scrivere si alza molto presto al mattino e fra le cinque e le sette procede per “lampi”, come dice lei. Attraverso questi lampi Donatella Di Pietrantonio ha scritto romanzi di grande potenza e L’Arminuta è una perla”. Così scrive Matteo Nucci nella quarta di copertina dell’edizione tascabile targata Einaudi. Donatella Di Pietrantonio racconta uno spaccato di vita ordinario, spogliato di artefici e retorica, che entra nel cuore e scava l’io interiore del lettore, trasportandolo dentro le pagine di una storia unica, ma allo stesso tempo universale, capace di dialogare a un noi comunitario. “Ero L’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza”.
“L’Arminuta”, la nuova vita de “la ritornata”
Vi sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. “A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda a una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l’odore di fritto recente e un’attesa. La porta non voleva aprirsi, qualcuno dall’interno la scuoteva senza parole e armeggiava con la serratura. Ho guardato un ragno dimenarsi nel vuoto, appeso all’estremità del suo filo. Dopo lo scatto metallico è comparsa una bambina con le trecce allentate, vecchie di qualche giorno. Era mia sorella, ma non l’avevo mai vista. Ha scostato l’anta per farmi entrare, tenendomi addosso gli occhi pungenti. Ci somigliavamo allora, più che da adulte”.
Di Pietrantonio con il romanzo l’Arminuta, pubblicato per Einaudi nel 2017, racconta la storia di una bambina di tredici anni che di punto in bianco vede perdere tutto: casa, famiglia, affetti, routine quotidiana e serenità. All’improvviso, senza alcuna spiegazione, viene “restituita” alla famiglia biologica che non sapeva di avere. E tutto ciò che apparteneva alla vita di “prima” viene spazzato via: la città, il piccolo agio borghese, la lingua italiana e le gite al mare con mamma e papà. I ricordi felici prendono la forma di un paese di provincia, di una casa troppo piccola e chiassosa, dell’invadente e sferzante dialetto e delle corse in bicicletta. L’Arminuta non conosce le motivazioni di questo cambiamento così radicale, è all’oscuro del perché due donne la stiano spostando da una parte all’altra. Sta di fatto che la bambina si ritrova con due madri assenti: una che l’ha cresciuta e poi rispedita indietro ed una che ha avuto il coraggio di darla via quando aveva solo sei mesi.
Sul ciglio della porta ad accoglierla c’è Adriana, la bambina con le trecce allentate di qualche giorno, con la quale inizierà una vera e propria storia d’amore fraterno: con lei condividerà letto, giornate, felicità e preoccupazioni. Ma la sorella non è sola. La famiglia è grande e i fratelli, spesso troppo invadenti e chiassosi, sono tanti. Tra questi c’è Vincenzo, l’unico che non considera l’Arminuta una semplice sorella, ma qualcosa in più: un’amica, una confidente, una persona di cui fidarsi, capace di scrutare dietro le sue ansia e turbamenti. Purtroppo però quello con Vincenzo è un fuoco che si spegne presto: il ragazzo muore precocemente in un tragico incidente con il motorino.
Ecco allora che da quel giorno, da quella porta, inizia una nuova fase per l’Arminuta. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma il viaggio più avvincente della vita sta per iniziare. Confrontarsi fino in fondo con le proprie radici sarà infatti la salvezza per la ritrovata: l’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte primaria, alla sorgente del corso d’acqua.
Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell’Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare. Affrontare la perdita e capirla, accettandola, è il processo che la porta crescere prima del tempo: “Ero l’Arminuta, la ritornata. Non conoscevo quasi nessuno ancora, ma loro sapevano più di me sul mio conto, avevano sentito le chiacchere degli adulti“.
Donatella Di Pietrantonio, chi è l’autrice
Donatella Di Pietrantonio nasce il 5 gennaio del 1963 ad Arsita in provincia di Teramo. Fin da giovane coltiva una grande passione per la scrittura, i racconti brevi, i bambini e la medicina. Raggiunta la giovane maggiore età si iscrive alla facoltà di Odontoiatria all’Università dell’Aquila. Consegue la laurea nel 1968 e a Penne, in provincia di Pescara, inizia a praticare la professione di dentista pediatrico. Nel 2011 debutta come scrittrice con il romanzo Mia madre è un fiume, ambientato nella terra natale ed edito da Elliot Edizioni. Il romanzo, tradotto anche in Germania, è vincitore di numerosi premi tra cui il Premio Letterario Tropea.
Nel 2013 pubblica il suo secondo romanzo, Bella mia, dedicato e ambientato all’Aquila. L’opera, influenzata dalla tragedia del terremoto del 2009 e incentrata sul tema della perdita e dell’elaborazione del lutto, è stata candidata al Premio Strega ed ha vinto il Premio Brancati nel 2014. Il romanzo viene ristampato da Einaudi nel 2018 e nel 2020 vince il premio letterario internazionale città di Penne-Mosca.
Nel 2017 è la volta del suo terzo romanzo, pubblicato per Einaudi, L’Arminuta. Anch’esso ambientato in Abruzzo, “La ritornata” mette nero su bianco il tema del rapporto madre-figlio nei suoi lati più oscuri, anomali e patologici. Il racconto, frutto di un puzzle perfetto, vince il Premio Campiello e il Premio Napoli. Dal romanzo è stato tratto, nel 2019, uno spettacolo teatrale prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo e, nel 2021, il film diretto da Giuseppe Bonito. Sempre nel 2017 Donatella Di Pietrantonio è stata insignita dell’Ordine della Minerva dall’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti.
Nel 2020 pubblica, ancora per Einaudi, Borgo Sud, romanzo sempre ambientato in Abruzzo e considerato il seguito de L’Arminuta, poiché racconta le storie successive delle due sorelle protagoniste. L’opera viene selezionata per partecipare all’edizione 2021 del Premio Strega, portando a casa un meritato secondo posto, dietro Due vite di Emanuele Trevi. Insomma, Donatella Di Pietrantonio non è una semplice penna, ma una narratrice di “grande potenza”, “una delle voci più significative e più letterarie del panorama italiano”, sostiene Michela Murgia, che sa colpire, stupire e commuovere.