Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui sono illustrati dati e trasmesse testimonianze di gravi crimini commessi dai gruppi armati di opposizione presenti nel nord della Siria.

Rapimenti, torture e omicidi sommari sono abusi diventati tristemente comuni in questi territori: vengono descritti 24 casi di persone rapite tra il 2012 e il 2016 nelle zone di Aleppo e Idlib. Tra essi c’erano anche attivisti pacifici, esponenti delle minoranze religiose e persino dei minorenni. Inoltre, sono riportati cinque casi di persone torturate dopo il rapimento, tra il 2014 e il 2015. Nonostante stessero violando il diritto internazionale umanitario, alcuni di questi gruppi hanno creduto di avere l’appoggio  di paesi come il Qatar, l’Arabia Saudita, la Turchia e gli Stati Uniti, tutti coinvolti nel progetto di sostegno alla Siria.

Delle persone rapite e torturate non si conoscono i nomi reali per ovvi motivi di sicurezza, tuttavia è noto quale ruolo hanno ricoperto e perché sono state vittime di abusi.

Ad esempio, ricordiamo il caso dell’attivista politico che è stato ritenuto “colpevole” di aver organizzato una manifestazione pacifica per sostenere la rivolta del 2011. Egli racconta così la propria terribile esperienza:

«Mi hanno portato nella stanza delle torture. Mi hanno appeso al soffitto per le caviglie, a testa in giù, nella posizione dello ‘shabeh’ [sospensione] e mi hanno picchiato su ogni parte del corpo. Poi sono passati alla tecnica del ‘dulab’ [pneumatico]: hanno stretto il mio corpo fino a farlo entrare all’interno di uno pneumatico e mi hanno colpito con bastoni di legno».

Anche molti giornalisti in disaccordo con la politica e i metodi crudeli di questi gruppi hanno subito pressioni o addirittura sono stati rapiti, torturati e poi rilasciati.
C’è purtroppo anche una lunga lista di omicidi, che comprende persone di diversa estrazione sociale: da un ragazzo di 17 anni accusato di essere omosessuale a una donna accusata di adulterio, da membri dell’esercito siriano a componenti di formazioni armate rivali.

Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International, ha dichiarato:

«Questo rapporto espone la realtà angosciante che i civili vivono sotto il controllo di alcuni dei gruppi armati di opposizione ad Aleppo, Idleb e nelle zone circostanti. Molti civili vivono nella paura costante di essere rapiti se criticano la condotta dei gruppi armati al potere o se non rispettano le regole severe che hanno imposto […] Ad Aleppo e Idleb oggi, i gruppi armati hanno possono liberamente commettere crimini di guerra e altre violazioni del diritto internazionale umanitario impunemente. Incredibilmente, abbiamo anche documentato che i gruppi armati che usano gli stessi metodi di tortura che vengono abitualmente utilizzati dal governo siriano».

Egli chiede inoltre agli Stati che fanno parte del gruppo di sostegno alla Siria di pressare i gruppi armati per porre fine agli abusi e per far sì che si rispettino le leggi di guerra. Secondo Luther queste nazioni devono anche interrompere i rifornimenti di armi e qualsiasi altro tipo di supporto a chi si macchia di crimini tanto disprezzabili.

Nel rapporto si parla soprattutto di cinque gruppi armati: il Movimento Nour al-Dine Zinki, il Fronte al-Shamia, la Divisione 16, il Fronte al-Nusra e il Movimento islamico Ahrar al-Sham di Idlib. Alcuni di essi hanno dato vita a un vero e proprio sistema giudiziario basato sulla shari’a, molto organizzato e strutturato, con sanzioni severe per chi la trasgredisce e con pene che possono arrivare alla tortura. Incoerentemente con tutto ciò, spesso i giudici coinvolti non hanno piena conoscenza della shari’a.

Era chiaro già da tempo che per chi ha vissuto in Siria in questi travagliati anni di guerra la vita non è stata né serena, né tantomeno giusta, ed era altrettanto palese che abusi e ingiustizie fossero all’ordine del giorno. Tuttavia, le testimonianze dirette di chi è stato torturato e i nomi delle persone uccise rendono il pensiero di quanto accaduto talmente reale da trasformare lo sconforto in desolazione.

Ilaria Cozzolino

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