In Irlanda del Nord la riunificazione passa per l'operato democratico

L’Irlanda del Nord sembrava non trovare via di uscita dalla crisi politica in cui era piombata, dopo le elezioni del maggio 2022. Durato due anni, lo stallo del parlamento di Stormont è stato provocato dal Partito Democratico Unionista (DUP), il principale partito protestante dell’Irlanda del Nord e una delle maggiori forze politiche, dopo essere stato superato dal partito nazionalista dello Sinn Féin alle elezioni di quell’anno. Si è andata a creare così una condizione di incertezza che ha fatto riaffiorare, a più riprese, i timori di nuove violenze, rievocando gli spettri della guerra civile che si verificò nella seconda metà dello scorso secolo.

Ma nonostante i dissapori tra la comunità nazionalista e quella unionista non siano svaniti del tutto, come dimostrano gli scontri e le tensioni che si verificano periodicamente, mai come oggi la pace non sembra essere a rischio in Irlanda del Nord. Tale scenario è stato possibile soprattutto grazie a questi due partiti, che hanno convinto le proprie comunità di riferimento a sotterrare l’ascia di guerra e portare all’interno delle aule parlamentari quel conflitto tra le due comunità che, in passato, è stato capace di provocare circa 3.600 morti e paralizzare la società nordirlandese per un trentennio.

In questo modo deve essere vista la contrarietà del DUP nel comporre l’esecutivo di Stormont, che secondo l’Accordo del Venerdì Santo deve essere formato sulla base della condivisione del potere tra forze politiche nazionaliste e unioniste. Ostruzionismo che è durato fino agli inizi di febbraio dell’anno corrente, quando Londra ha deciso di avanzare delle misure economiche per porre fine al lungo boicottaggio portato avanti dal DUP e risolvere le preoccupazioni degli unionisti rispetto il post-Brexit.

Il motivo principale per il quale il DUP aveva di fatto bloccato la formazione del parlamento di Belfast era rappresentato dall’accordo sulla Brexit siglato da Londra con l’Unione Europea, che a loro dire avrebbe minato la posizione dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, richiedendo controlli su alcune merci. Da allora in avanti, Londra ha così aperto un negoziato con il DUP che è terminato in questi giorni, ovvero nel momento in cui è stato varato un piano di circa 3,3 miliardi di sterline per il governo di Belfast, capace di mettere fine a queste difficoltà e ripristinare la condivisione del potere a Stormont.

Nonostante i precedenti accordi commerciali sulla Brexit abbiano reso l’Irlanda del Nord l’unico territorio del Regno Unito ancora soggetto alle norme UE sullo scambio delle merci, il leader del DUP, Jeffrey Donaldson, ha accolto con soddisfazione l’intervento di Westminster per allentare i controlli alle frontiere. Inoltre, questo piano economico servirebbe all’Irlanda del Nord per migliorare i servizi pubblici malconci, in modo tale da garantire alla provincia, una volta che il governo di Belfast sarà tornato operativo, di non divergere economicamente dalla Gran Bretagna.

Nel concreto, queste sono state le parole di Donaldson: «Nel prossimo periodo lavoreremo insieme ad altri per costruire una fiorente Irlanda del Nord saldamente all’interno dell’Unione per questa e le generazioni future». Di fatto, l’accordo include una legislazione che “afferma lo status costituzionale dell’Irlanda del Nord” come parte del Regno Unito e dà ai politici locali un “controllo democratico” su qualsiasi futura legge europea che potrebbe applicarsi all’Irlanda del Nord.

Ma se dalle dichiarazioni rilasciate da Donaldson traspare una certa soddisfazione per l’accordo, non sono da meno i vantaggi di cui potranno godere i nazionalisti dello Sinn Féin. L’intesa, in effetti, ha consentito a questo partito di esprimere il capo del governo per la prima volta nella sua storia. Ne consegue che il ritorno dell’assemblea e la ritrovata condivisione del potere voluta da Londra, potrebbe essere l’inizio di un cambiamento epocale nella storia della provincia, che nelle speranze dei nazionalisti dovrà concludersi con il ricongiungimento dell’Irlanda del Nord alla Repubblica d’Irlanda.

Sabato 3 febbraio è diventata perciò una data altamente simbolica per i nazionalisti, poiché la vicepresidente dello Sinn Féin, Michelle O’Neill, è stata nominata a capo del Governo dell’Irlanda del Nord. «Questo è un giorno storico che rappresenta una nuova alba», ha dichiarato O’Neill. «Che un giorno simile potesse mai arrivare sarebbe stato inimmaginabile per la generazione dei miei genitori e dei miei nonni. A causa dell’Accordo del Venerdì Santo, il vecchio stato in cui sono nati è scomparso. È stata creata una società più democratica e più equa, rendendola un posto migliore per tutti».

In passato, Michelle O’Neill è stata criticata per aver partecipato a eventi commemorativi dell’organizzazione paramilitare nota come Irish Republican Army (IRA) e per aver dichiarato che “non c’erano alternative” alla campagna armata di questo gruppo durante i Troubles. Ad ogni modo, nonostante le sue posizioni, O’Neill è cresciuta all’ombra della guerra civile e si è impegnata a lavorare insieme al suo partito per colmare divisioni all’interno della società nordirlandese, che una volta sembravano insormontabili.

Il suo passato le ha dato la spinta e il desiderio di creare un futuro diverso non solo per se stessa, ma per l’intera comunità cattolica che in parte rappresenta. E poi, come sottolineato dalla stessa O’Neill, l’Irlanda del Nord ha ricevuto un grande aiuto nel mettere fine alle violenze, dall’accordo del Venerdì Santo del 1998, negoziato anche grazie alla mediazione degli Stati Uniti, determinata in parte dall’influenza esercitata dalle comunità irlandesi-americane formatesi nel tempo a causa delle varie ondate di migrazioni determinate da povertà e carestie.

Per tutte queste ragioni, il presidente Joe Biden ha elogiato i leader politici dell’Irlanda del Nord per l’intesa ritrovata, che ha condotto al ripristino delle istituzioni fondamentali, dichiarando: «Non vedo l’ora di vedere la rinnovata stabilità di un governo di condivisione del potere che rafforzi il dividendo della pace, ripristini i servizi pubblici e continui a costruire sugli immensi progressi degli ultimi decenni». Del resto, oltre ad avere avuto i bisnonni materni di origine irlandese, l’attuale presidente americano, in qualità di senatore, ha anche contribuito a negoziare l’Accordo del Venerdì Santo, che prevede l’organizzazione di un referendum per la riunificazione dell’isola, qualora il dato demografico tra cattolici e protestanti dovesse cambiare.

In effetti, un ribaltamento demografico in favore dei cattolici si è già avverato, seppur limitatamente. Il censimento condotto nel 2021 ha infatti rilevato che il 45,7% della popolazione ha dichiarato di essere cresciuto in una famiglia cattolica, contro il 43,5% che ha dichiarato invece di professare la religione protestante. Per tale ragione, la Prima ministra Michelle O’Neill ha dichiarato che un voto sulla riunificazione della provincia con la Repubblica di Irlanda potrebbe avvenire entro i prossimi 10 anni.

Dopo 30 anni di conflitto civile, l’Irlanda del Nord sembra così aver deciso di puntare sull’operato politico per dare inizio a quel processo che, alla fine, la vedrebbe riunificarsi con la Repubblica di Irlanda. E questo non perché la violenza non abbia prodotto risultati, visto che ha condotto all’Accordo del Venerdì Santo, su cui il parlamento di Belfast fa ancora fedelmente affidamento, in primis, per esercitare il proprio potere. Ma perché dopo tanti anni vissuti nel terrore della guerra civile, i nazionalisti irlandesi hanno deciso che i tempi sono ora maturi per raggiungere l’unificazione attraverso iniziative democratiche, quale l’istituto referendario.

Gabriele Caruso

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, mi occupo soprattutto di indagare la politica italiana e di far conoscere le rivendicazioni dei diversi movimenti sociali. Per quanto riguarda la politica estera, affronto prevalentemente le questioni inerenti al Regno Unito.

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