Gobetti - Resistenza - antifascismo
Fonte immagine: wikimedia.org

Si dice che la memoria sia tale solo se assume le sembianze di un esercizio collettivo. E collettivo dovrebbe essere lo sforzo di non credere che l’antifascismo sia un carattere immutabile della storia del nostro Paese. Riciclo parole già utilizzate in un precedente articolo non solo perché, a proposito di memoria, mi tornano facilmente in mente, ma anche perché a distanza di un anno dalla sua pubblicazione nulla è cambiato e i fatti di cronaca continuano a raccontarci di un’Italia in cui episodi di razzismo, abuso di potere e culto della forza sono all’ordine del giorno. Ecco perché l’antifascismo più che pietra d’angolo dello stato di diritto dovrebbe essere la pietra che arma la mano (metaforicamente parlando, s’intende) di chi combatte contro i feticci di un passato che, rinnovato, si è fatto presente e – oggi come allora – minaccia il tessuto democratico del nostro Paese.

Una minaccia che negli scorsi mesi ha assunto le sembianze di un attacco alla libertà di manifestare che, come ricordato dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky in un’intervista recentemente rilasciata, è il primo diritto a essere eroso in qualsivoglia regime autoritario. I fatti, ovviamente, fanno riferimento alle vicende di Firenze e Pisa, che hanno coinvolto i giovani scesi in piazza per chiedere lo stop al genocidio del popolo palestinese. Per questo, di fronte a quella che in gergo tecnico si chiama carica di alleggerimento, ma che nella pratica altro non è che una sopraffazione esercitata da chi detiene il monopolio legittimo della forza e non della violenza, sorge spontanea la domanda che – già nel 1968 – poneva Ada Prospero Gobetti: «Perché non vogliamo riconoscere nei giovani di oggi […] il merito di riprendere la battaglia da noi lasciata incompiuta?».

La domanda in questione la si legge nelle pagine del Giornale dei genitori, all’interno dell’articolo “Gli studenti hanno ragione”. Proprio a questi ultimi, Gobetti dedica una parte del suo impegno, insegnando filosofia prima e lingua e letteratura inglese poi. L’insegnamento non è però un’attività totalizzante nella vita di Gobetti che infatti è ricordata, più di ogni altra cosa, per l’impegno e il vigore con cui ha preso parte alle battaglie partigiane.

Come si legge sul periodico dell’A.N.P.I., l’avvicinamento di Ada Gobetti alla Resistenza “affonda le sue origini in un antifascismo della prima ora, radicale e indefettibile, sviluppatosi nelle aule dell’università di Torino grazie al confronto quotidiano con i giovani democratici e al sodalizio intellettuale e amoroso con Piero Gobetti, di cui Ada condivide il pensiero e l’azione, affiancandolo in tutte le battaglie politiche. Proprio la morte di Piero, avvenuta a causa delle complicazioni di una malattia cardiaca legate a una violenta aggressione squadrista, segna un importante e drammatico momento di svolta nella vita di Ada, che prenderà coscienza di dover imparare a condurre “una vita autonoma, non più sostenuta e assorbita da un’altra più vigorosa”. Così, mentre è impegnata a prendersi cura di suo figlio neonato, non esita ad aprire le porte di casa sua a numerosi intellettuali antifascisti e personaggi legati al movimento Giustizia e libertà, a cui lei stessa finirà per aderire.

Il suo coraggio, tuttavia, emerge in modo ancor più inequivocabile quando prende attivamente parte alla lotta armata. Con il nome di battaglia Ulisse, Ada Gobetti è attiva soprattutto in Val di Susa, dove svolge numerosi incarichi organizzativi muovendosi tra la valle e Torino per consegnare armi, ordini, stampe clandestine, soldi e direttive militari. Tra il 1944 e il 1945 partecipa poi a una missione particolarmente rischiosa e attraversa il Passo dell’Orso e il colle Sommelier per prendere contatto con gli alleati e i movimenti femminili della Francia liberata.

L’interesse e l’impegno per l’emancipazione femminile rappresentano in effetti una costante nella vita di Gobetti che, non a caso, è tra le promotrici dei Gruppi di difesa della donna. Proprio per sottolineare l’apporto femminile nella lotta antifascista, Ada Gobetti scrive:

«Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendosi instancabilmente, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana».

Le parole e la storia di Ada Gobetti ci ricordano quindi che anche nelle circostanze più difficili, le donne hanno ricoperto un ruolo fondamentale nel plasmare il corso degli eventi e nel difendere quelli che dovrebbero essere considerati valori fondamentali della società umana. Pertanto, riconoscere e celebrare il loro contributo alla Resistenza non è solo un dovere da esercitare per onorarne il sacrificio, ma anche e soprattutto lo strumento per ispirare le generazioni che verranno a lottare senza paura per un mondo più giusto e più inclusivo.

Virgilia De Cicco

Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.