Una giornata quasi normale. Una donna abbraccia i propri figli. Un uomo incontra la famiglia. Si pranza insieme. C’è modo e tempo per avere un rapporto intimo. In uno spazio ristretto, chiuso, controllato, fatto di muri ma non di telecamere, sembra di essere a casa anche se casa non è. Una volta al mese, al massimo per 24 ore. Le chiamano stanze dell’amore. Sono camere pensate per le carceri italiane: spazi abitativi appositamente attrezzati, chiusi e intimi per far vivere momenti di normalità, per garantire gli affetti nonostante la reclusione.
Le stanze dell’amore sono contemplate nel disegno di legge presentato in Commissione Giustizia del Senato e rientrano nella «tutela delle relazioni affettive intime». La proposta, che prevede modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, è stata depositata in Senato lo scorso luglio, pochi giorni fa la prima discussione. Presentata su iniziativa del Consiglio Regionale della Toscana, ha come relatrice Monica Cirinnà, senatrice del Partito Democratico. Riconoscere il diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti non è un tema nuovo: in passato se n’è già parlato e ha fatto discutere. Non sarà diverso questa volta.
Non solo stanze dell’amore: cosa prevede il decreto legge
A essere contemplate non sono soltanto le stanze dell’amore anche se sono queste a fare parlare: il disegno di legge si articola in quattro punti. L’articolo 1 contempla il «diritto all’affettività». I detenuti hanno il diritto di ricevere una visita una volta al mese per un tempo che va da un minimo di 6 ore a un massimo di 24. Gli incontri tra detenuti e persone autorizzate hanno luogo «in apposite unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi». l’articolo 2 fa riferimento ai permessi speciali che, attualmente, sono concessi ai detenuti come premio o per motivi di necessità (gli eventi gravi familiari o pericolo di vita). Il disegno di legge estenderebbe le ipotesi di concessione dei permessi, che potrebbero essere ottenuti per «eventi familiari di particolare rilevanza».
L’articolo 3 modifica la disciplina sulle telefonate dei detenuti. Non più una volta alla settimana ma quotidianamente con familiari e conviventi. Il disegno di legge punta a modificare anche la durata: da 10 a 20 minuti. L’articolo 4, dedicato alle disposizioni finali, prevede un adeguamento delle strutture penitenziare sul territorio in modo che venga garantita l’applicabilità della legge in almeno un istituto per regione.
Se si volge lo sguardo oltre i confini
Monica Cirinnà su La Repubblica battezza la proposta come «una legge di grande civiltà», mentre dall’opposizione piovono duri attacchi e perplessità provengono dal M5S. «Lascio immaginare quali problemi di sicurezza si porranno, a cominciare dal rischio che venga introdotta in carcere droga nascosta negli orifizi corporei o addirittura ingerita»; parole riportate su un comunicato stampa del senatore di FI Alberto Balboni, vicepresidente della commissione Giustizia.
Al di là delle opinioni politiche e delle strumentalizzazioni che simili leggi possono veicolare, bisogna osservare i dati. La relazione di accompagnamento del disegno di legge, in tal senso, viene in soccorso. Perché basta guardare al di là dei confini nazionali per capire quanto nelle carceri «il tema del diritto all’affettività e alla sessualità diventi ambito effettivo, disciplinato in un numero sempre crescente di Stati riconosciuto come vero e proprio diritto soggettivo in numerosi atti sovranazionali». In Paesi come Albania, Belgio, Croazia, Germania, Spagna, Svezia la vita affettiva e sessuale in carcere è garantita. Nel nostro paese se ne parla da vent’anni senza arrivare a una conclusione. Visione troppo audace?
Anche in carcere esistono i diritti
Affrontare un simile tema significa confrontarsi con un mondo talvolta ignorato. Di detenuti si parla quando accade qualcosa di terribile: quando ci sono rivolte, fughe o morti. La retorica spesso diffusa del chiudere la chiave e far marcire i detenuti nelle carceri, sottovaluta una verità trascurata. La detenzione è un percorso riabilitativo e rieducativo non punitivo. La giustizia impartisce le pene – che naturalmente sono diverse in base ai reati – ma fino a dove può spingersi? Ciò che serve ai detenuti è mantenere costantemente il legame con quella società in cui dovranno reinserirsi.
L’affettività e la sessualità rappresentano un filo che, seppur invisibile, riconnette i ristretti alle relazioni col mondo esterno. Se pensare al domani può essere la chiave per prevenire i reati resta un’incognita. Ma di certo adeguarsi alle normative sovranazionali e pensare a chi è spesso indicato come ultimo può essere un atto di grande civiltà. Il diritto è il legame che fa di carcere e affettività binomi conciliabili. E alla fine lo dicevano anche i latini: Ius est ars boni et aequi (Diritto è l’arte di ciò che è buono ed equo, Celso). E loro si sa, avevano quasi sempre ragione.
Alba Dalù