Tra le problematiche per cui le donne dell’associazione Non una di meno hanno proclamato lo sciopero transfemminista dell’8 marzo c’è anche il DDL Pillon.
Disegno di legge in materia di diritto di famiglia che, regolando rigidamente i rapporti padre-figlio-madre in vista di un divorzio tra i coniugi, non tutela le donne vittime di violenza e mette in secondo piano l’individualità del minore, a dispetto di tutte le recenti scoperte sull’età evolutiva.
I limiti del DDL Pillon
Per quanto concerne le donne vittime di violenza, la mediazione familiare – obbligatoria (nel caso di figli minori) e a pagamento – prima di poter procedere al divorzio renderebbe loro molto più difficile separarsi da un marito violento, a meno che non godano di un discreto agio economico.
Il DDL Pillon non sembra contemplare, infatti, il “gratuito patrocinio” per le donne con reddito basso. Inoltre, l’obbligo di mediazione familiare di per sé contravviene esplicitamente al divieto di mediazione familiare per le donne vittime di violenza, contemplato nella Convenzione di Instanbul.
Quanto ai figli, i minori che non vogliano frequentare il genitore non affidatario saranno considerati affetti da alienazione genitoriale, per cui o affidati di forza al padre o alla madre – in pieno contrasto con la bigenitorialità perfetta che il DDL Pillon intende perseguire – oppure internati in una casa di correzione dove saranno disciplinati alla bigenitorialità (nel disegno di legge non vengono indicate le modalità finalizzate allo scopo).
Questo tipo di “diagnosi” sarà valida anche laddove il “genitore alienato” dovesse essere violento, pur di garantire l’esatta bigenitorialità – eppure nello stesso DDL Pillon è chiaramente espresso che al genitore violento non dovrà essere affidato il figlio.
La genesi del DDL Pillon
Ideato dal senatore leghista Simone Pillon, avvocato, mediatore familiare e promotore del prossimo Family Day 2019, il disegno di legge nasce dalle esigenze avanzate dalle associazioni dei padri separati, cioè continuare ad avere un rapporto privilegiato con i propri figli anche dopo la fine del matrimonio e non essere utilizzati come semplici “bancomat”, fino a ridursi in miseria e dover mendicare, nei casi più estremi, presso mense o dormitori.
In altre parole, il DDL Pillon si propone di contrastare la tendenza dei giudici ad affidare quasi sempre il figlio alla madre, ovvero ad attribuire a quest’ultima tutto il potere genitoriale (detto, tempi addietro, “patria potestà”) e a pretendere dal padre il solo espletamento delle funzioni economiche.
È innegabile che alcune madri, assistite da rampanti avvocati, abbiano approfittato della situazione di crisi matrimoniale, per scucire all’ex marito quanto più danaro possibile e ostacolare in tutti i modi anche i soli contatti telefonici tra lui e i figli. Ma non si può “fare di tutta l’erba un fascio”, eliminando a priori l’assegno di mantenimento, attualmente versato dal padre in favore dei figli, oppure viceversa.
Per quanto apparentemente più egualitaria la misura del mantenimento diretto da parte di entrambi i genitori, ognuno per proprio conto e secondo la propria disponibilità economica, la difficile situazione occupazionale delle donne italiane non la rende, tuttavia, fattibile. E non è possibile omettere, altresì, i numerosi procedimenti giudiziari a carico degli ex mariti per il mancato versamento dell’assegno, in toto o in parte.
Sarebbe opportuno porre preliminarmente rimedio a queste due situazioni limite prima di imporre misure economiche in nome delle “pari opportunità”. Un maggiore incremento dell’occupazione femminile sarebbe oltremodo auspicabile non solo in vista di un evento doloroso come la separazione, bensì anche dal punto di vista dell’indipendenza economica individuale e di un più equilibrato bilancio familiare, quando in costanza di matrimonio. Si estende la riflessione corrente anche alla compartecipazione alla spesa della casa cointestata da parte della donna non occupata che continui ad abitarvi.
Dal DDL Pillon al Family Day
Allo sciopero dell’8 marzo seguirà una contromanifestazione a Verona contestualmente al Family Day, che si terrà dal 29 al 31 marzo.
Promosso, come detto, dall’onorevole Pillon e patrocinato dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, il Family Day difende la famiglia naturale come unità fondamentale della società. Tra i temi affrontati: la bellezza del matrimonio, i diritti dei bambini, la donna nella storia, la crescita e il calo demografico, la dignità e la salute delle donne, il divorzio: cause ed effetti; tutela giuridica della Vita e della Famiglia.
La prima delle due tematiche sottolineate è direttamente affrontata nel disegno di legge attraverso il “ricovero” del minore recalcitrante, mentre la seconda indirettamente, attraverso l’obbligo della mediazione familiare obbligatoria, pena l’impossibilità di divorziare.
Viene da chiedersi: il Congresso Internazionale della Famiglia vuole forse a poco a poco ripristinare la società patriarcale antecedente la riforma del diritto di famiglia del 1975, che non prevedeva il divorzio e considerava i figli come proprietà del padre? E il DDL Pillon è forse il primo passo?
I due quesiti non sono affatto tendenziosi, come potrebbe sembrare: il Family Day è organizzato da associazioni di stampo cattolico tradizionalista (e integralista), tra cui Generazione Famiglia, ProVita Onlus, Comitato Difendiamo i Nostri Figli.
La stessa città di Verona è ormai stata assurta a simbolo della destra reazionaria e integralista, e ha ospitato, lo scorso ottobre, una manifestazione antiabortista patrocinata dal gruppo neofascista Forza Nuova. Lo stesso Simone Pillon si è più volte dichiarato apertamente contro il divorzio e l’aborto.
Qualcosa su cui riflettere.
Adele D’Alessandro
“È innegabile che alcune madri, assistite da rampanti avvocati, abbiano approfittato della situazione di crisi matrimoniale, per scucire all’ex marito quanto più danaro possibile “
Alcune? Si parla dì almeno 800.000 padri separati in povertà assoluta!