Le industrie del settore fossile produrranno più petrolio e più gas di quanto possiamo permetterci di bruciare per scongiurare gli effetti della crisi climatica. È questo il quadro allarmante che ci viene restituito dal nuovo rapporto “Banking on Climate Chaos”, redatto da sei organizzazioni non governative.
Ma se la notizia non rappresenta – purtroppo – una novità, più sorprendente può apparire il fatto che le compagnie fossili ancora riescano a pianificare l’espansione delle proprie attività con il contributo finanziario concesso dai colossi del settore bancario a chi sfrutta petrolio, gas e carbone. Come si legge all’interno di Banking on Climate Chaos, infatti, dal 2016 a oggi sono stati ben 4.600 i miliardi di dollari indirizzati al settore delle fonti fossili.
A nulla, dunque, sembra essere servito l’impegno assunto nel 2015 a Parigi quando, durante la ventunesima edizione della Conferenza delle Parti, è stato stabilito di mantenere la crescita della temperatura media globale a un livello quanto più prossimo possibile agli 1,5 gradi centigradi. Per farlo, naturalmente, non si può prescindere da una radicale riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Pena – altrettanto chiaramente – l’abbattimento di irreparabili conseguenze sui già tanto fragili ecosistemi del Pianeta.
Ecosistemi dei quali, pur essendone parte integrante, stiamo letteralmente finanziando l’estinzione. Sebbene in questi anni di emergenza pandemica alcuni governi abbiano cominciato a interrogarsi su come scongiurare la catastrofe climatica (di cui le pandemie rappresentano solo una delle possibili manifestazioni), trovando nella transizione ecologica una possibile soluzione, è bene precisare che senza l’abbandono del tradizionale modello del business as usual non sarà possibile salvare né il clima né il Pianeta. In altri termini, senza il coinvolgimento attivo del settore bancario e della finanza privata non si potrà arginare la crisi climatica. Eppure, come emerge dal rapporto Banking on Climate Chaos, numerosissime sono le banche (60 quelle prese in esame) che ancora continuano a finanziare l’industria dei combustibili fossili.
I primi posti di questa poco ammirevole classifica sono occupati da quattro istituti di credito americani – JPMorgan Chase, Citigroup, Wells Fargo e Bank of America – che da soli hanno fornito un quarto dei capitali in questione. Al quinto posto, la canadese Royal Bank of Canada. Mentre in Europa e in Giappone, i maggiori finanziatori fra gli istituti bancari sono stati, rispettivamente, Barclays (7° posto) e MUFG (8°). Unicredit e Intesa Sanpaolo, invece, hanno permesso all’Italia di non “sfigurare”.
In particolare, Intesa Sanpaolo, leader italiana nel settore e tra i trenta gruppi bancari più grandi al mondo, ha recentemente rivisto la propria politica sui prestiti al settore del carbone e siglato la Net-Zero Banking Alliance (NZBA), alleanza di grandi banche che promettono di allineare i propri portafogli di prestito e investimento all’obiettivo zero emissioni. Queste iniziative, tuttavia, non implicano l’interruzione di quei finanziamenti già indirizzati a progetti precedentemente conclusi con le società clienti. Più che nella lotta alla crisi climatica, dunque, Intesa Sanpaolo sembra essersi impegnata in una strategica operazione di greenwashing. Per sua sfortuna, però, i dati che ci vengono restituiti all’interno di Banking on Climate Chaos ci permettono di smascherarla abbastanza facilmente. Ad esempio, i soli finanziamenti indirizzati verso le società di estrazione del carbone – combustibile fossile più inquinante fra tutti – hanno raggiunto un ammontare pari a 447 milioni di dollari nel periodo preso in esame.
Per un quadro di riferimento più completo è possibile consultare il report in questione, disponibile qui. Ciò che, però, preme sottolineare è che l’incompatibilità con gli obiettivi climatici fissati dalla comunità scientifica non si traduce solo in un modello di business non sostenibile. Nel lungo periodo, infatti, continuare a finanziare l’industria del fossile significherà condannare l’umanità a fare i conti con un clima che, cambiando irrimediabilmente, la condurrà verso il punto di non ritorno.
Virgilia De Cicco