Continuando la rassegna della XXV edizione del Maggio dei Monumenti, percorriamo ancora i luoghi emblematici del napoletano, quelli che sono entrati a contatto con l’illuminista Gaetano Filangieri (1753 – 1788), suo dedicatario, grande giurista e pensatore.
Tali ambienti, tra cui la Chiesa dei santi Severino e Sossio, sono stati i tasselli di puzzle per lo sviluppo artistico, giuridico e scientifico settecentesco e sono infatti il fil rouge di questo maggio all’insegna di progetti e iniziative culturali.
Nello specifico i giorni 4, 18 e 25 maggio e il 1° giugno, sarà possibile visitare la Chiesa dei Santi Severino e Sossio e l’Archivio di Stato.
Si tratta di un complesso monumentale che vede le sue prime luci nel V secolo, contemporaneo quindi a San Benedetto da Norcia che, stando a quanto si racconta, abbia piantato lui stesso un Platano miracoloso in uno dei quattro chiostri. Ma il complesso avrà una vera rinascita solo nel X secolo. Si tratta infatti di un complesso monastico le quali origini risalgono ad un gruppo di benedettini che, in fuga dai saraceni, abbandonarono il monastero sulla collina di Pizzofalcone, in cerca di un luogo più sicuro. Con loro portarono le reliquie di san Severino, mentre nel 904 vi trasferirono le reliquie di san Sossio, compagno di martirio di san Gennaro, rinvenute tra i ruderi del castello di Miseno che era stato distrutto nell’855. Da qui prese il nome il monastero, nuova importante sede spirituale nel territorio partenopeo.
Un’altra innovazione si avrà poi nel 1835, quando il complesso diventerà anche sede dell’Archivio di Stato e quindi un luogo in cui conservare e preservare i documenti del napoletano dal X secolo fino all’età moderna.
Dal punto di vista architettonico si tratta di una chiesa con una pianta a croce latina, con un’unica navata delimitata da cappelle e sormontata da una volta affrescata da Francesco De Mura. Il pavimento (disseminato di lastre sepolcrali) è di un marmo cinquecentesco e, tra le cappelle più caratteristiche, spicca quella dei Medici di Gragnano e la cappella in marmo dei Sanseverino.
Questa, posta nella zona absidale della chiesa, ospita le tombe di tre giovani della famiglia (Jacopo, Sigismondo e Ascanio Sanseverino, scolpiti come se fossero vivi e reali), realizzate da Giovanni Merliano, e nasconde una storia dalle sfumature tetre. I tre defunti erano infatti gli eredi dei Sanseverino, famiglia che aveva accumulato molte ricchezze nella Napoli aragonese. Dopo qualche perdita in seguito della congiura dei Baroni, Ugo Sanseverino riuscì a recuperare delle proprietà, che però sarebbero andate ai suoi tre figli e non a suo fratello. Lo zio Girolamo fu indotto allora ad ordine un piano scellerato per indurre la morte dei nipoti: li invitò ad una battuta di caccia sul Monte Albano, dove avvelenò il loro vino. La madre, affranta, pretese vendetta, ma il marito preferì ricorrere alla giustizia secolare. Girolamo riuscì però a scamparla, per insufficienza di prove e lo stesso Ugo preferì soprassedere per non infangare il buon nome della famiglia. Allora la contessa Ippolita de Monti, affranta dal dolore, maledisse tutta la famiglia Sanseverino, si ritirò presso il Monastero di San Gaudioso per uscirne solo al momento della sua morte, quando avrebbe finalmente potuto riabbracciare i suoi figli.
Percorrendo la navata centrale della chiesa dei SS Severino e Sossio, noteremo un altro sepolcro caratteristico, quello di Belisario Corenzio, maestro di Onofrio de Lione, l’artista napoletano che ha realizzato il ciclo di affreschi negli interni. Furono proprio i capolavori di Corenzio le opere d’arte che ornavano la volta di tutta la Chiesa, prima che non si rovinassero a causa dei vari crolli verificatesi negli anni (nello specifico i terremoti del 1731 e del 1980).
La cupola (la prima eretta a Napoli) presenta invece un ciclo del pittore fiammingo Paul Schepers realizzati nel 1566.
Tra i vari personaggi dispicco, la chiesa ospitò nel 1594 Torquato Tasso che, ammalato, si ritirò all’interno del monastero nei suoi ultimi mesi di vita, per vivere serenamente e completare le sue ultime opere. Qui ricevette i suoi amici napoletani più stretti, tra i quali il poeta Giambattista Vico e lo storico Giulio Cesare Capaccio.
Alessia Sicuro