Il rapporto uomo-donna nella società è sempre stato al centro di discussioni. C’è però un luogo dove l’uomo e la donna si sono dovuti ritagliare un proprio spazio, ed è fondamentale studiarlo per capire il cambiamento e l’evoluzione del rapporto uomo-donna all’interno della società.

Questo ambito è quello lavorativo; un ambito in cui l’uomo e la donna possono confrontarsi e discutere a pari merito, dove uno può essere il superiore dell’altro e viceversa. Ma non è sempre stato così.
Fin dall’antichità l’uomo e la donna hanno sempre avuto ruoli separati e ben definiti: uno cacciatore, l’altra raccoglitrice, uno soldato, l’altra allevatrice.
Anche se in alcune culture esisteva il matriarcato, come ad esempio in alcune civiltà in Grecia prima dell’arrivo degli Achei (da qui probabilmente il mito delle Amazzoni), la maggior parte delle civiltà che sono giunte a noi sono perlopiù patriarcali.

Con il passare dei secoli il ruolo della donna all’interno della società è cambiato, diventando sempre più presente. Nella storia possiamo trovare testimonianze di donne che gestivano l’apparato familiare, ma anche che organizzavano e comandavano eserciti e imperi (tra le tante possiamo trovare Cleopatra e Giovanna d’Arco).

Tuttavia, come mai la donna ha sempre trovato un certa difficoltà nel staccarsi dal ruolo che la società le aveva affibbiato? E perché ad un certo punto della storia la donna riesce, effettivamente, a cambiare rotta e a prendere un posto al pari dell’uomo?

Le risposte a queste domande le possiamo trovare studiando quel che la storia ci racconta; a partire dalla gestione del gruppo familiare fino all’assegnazione dei ruoli, possiamo definire il quadro generale del rapporto uomo-donna. Prendendo d’esempio l’Italia ottocentesca, per la precisione dall’Unità d’Italia (1861), possiamo intravedere come verrà definito il ruolo della donna; iniziando dall’ambito più importante per la costruzione di una società solida e civile: l’educazione, quindi la scuola.

All’inizio dell’Ottocento il ruolo di maestro era concesso solo all’uomo, di rilevante importanza il fatto che debba essere un religioso poiché solo gli uomini di Chiesa sapevano e potevano maneggiare gli strumenti alfabetici. Nessuno pensava che una donna potesse insegnare per molti motivi: le donne erano all’oscuro dell’educazione (le donne letterate erano nobildonne, ed erano eccezioni), la donna era considerata inadatta perché non era istruita e perché, secondo la concezione del tempo, non si poteva istruire poiché aveva un cervello diverso da quello dell’uomo.

Solo alla fine dell’Ottocento avviene una delle trasformazioni più eclatanti (con varianti regionali), è il passaggio dal maestro religioso alla donna madre, concetto che verte più sulla naturalità dell’educazione che sull’alfabetizzazione, questo pensiero infatti è supportato dal pensiero religioso (l’immagine migliore di donna è la Madonna). La donna è considerata la perfetta educatrice perché è madre. La scuola infatti è chiamata scuola “materna” perché gli educatori dovevano essere come la madre.

Puntando sulle donne e sul ruolo di queste nella società, la Chiesa compie un’operazione ambivalente: da un lato consente l’espansione graduale del lavoro femminile al di fuori del contesto domestico, ma dall’altro spinge verso alcune professioni, che entrano nell’immaginario familiare e culturale come professioni adatte al femminile. Le donne dovevano fare lavori come infermiere, insegnanti, segretarie (professioni in cui sono sempre sottomesse ad un uomo). Questo cambiamento apre al lavoro femminile ma lo fa quindi in una condizione di sottomissione.

A questo punto possiamo capire il ruolo da protagonista della Chiesa nella discussione “donna-lavoro”. Infatti, come abbiamo già scritto in precedenza, la Chiesa decide se puntare sulla donna oppure no, cosa la donna può e non può fare. Da questo momento le donne riescono a ritagliarsi uno spazio sempre più grande nella società. Questa affermazione però, con il passare del tempo, ha dato l’impressione di creare dei veri e propri problemi per l’uomo, perché se prima l’uomo occupava un ruolo da protagonista assoluto per la società, ora si ritrova a condividere quel ruolo con la donna. Ciò, plausibilmente, ha contribuito a creare dei dissapori tra i due sessi che hanno fatto scaturire una sorta di avversione sfociata anche in accuse e atteggiamenti pesanti.

A tal proposito, uno degli ultimi attacchi da parte di uno degli “esponenti” del genere maschile è quello dell’europarlamentare polacco Janusz Korwin-Mikke, il quale, durante un dibattito all’interno del Parlamento Europeo ha attaccato una sua collega spagnola dicendo: «È giusto che le donne guadagnino meno perché sono più deboli, più piccole e meno intelligenti» e per far valere la sua affermazione di “capacità intellettiva inferiore” ha provato a spiegare che «Tra primi cento giocatori di scacchi non c’è nemmeno una donna».
Agli occhi dei più, questa scusante sarebbe al pari di dire: «Le insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia sono tutte donne, quindi i maschi non saprebbero educare bene i bambini».

La prima donna nello spazio, Valentina Vladimirovna Tereškova, una volta disse: «Se le donne in Russia possono lavorare per le ferrovie, perché non possono volare nello spazio

Per fortuna quello di Korwin-Mikke è solo un caso, anche se non isolato e neanche sporadico. La risposta dal mondo femminile non tarderà a mancare, come non è mai mancata, perché non si vuol far passare la donna come la vittima di questa società — a parer di alcune — misogina; ma si cerca più che altro di evidenziare come ognuno abbia dei ruoli, che non siano però predefiniti e divisi tra i sessi, ma espressi nella libertà di poter scegliere e di vivere attraverso i propri sogni e bisogni.

Nicola Capussela

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